Abitare Trastevere e i rioni romani
Camminando tra i vicoli, osservando i muri segnati dal tempo, ascoltando voci molteplici e diverse, sento il lento fluire della vita che scorre e scivola su monumenti, palazzi, chiese e case, e si stratifica in una sapiente sintassi urbana dove i pieni e i vuoti, il grande e il piccolo, il sacro e il profano, concorrono a quella qualità che è per tutti e di tutti: la città storica.
È il senso del diritto alla città che vuole legare, come scrive Salvatore Settis, “l’etica della cittadinanza al senso del bene comune e alla qualità del vivere civile” contro l’involgarimento pacchiano del centro storico che sta perdendo la ricchezza della complessità dell’abitare mentre le “case” si spopolano, i giochi dei bambini in piazza si silenziano… l’espulsione dei ceti popolari continua… gli artigiani sono ormai una rarità per lasciar posto ad avventori temporanei e distratti.
Vuol dire porre “l’abitare” al centro di una politica per la città
Il problema non è solo dell’oggi ma alla fine degli anni ‘70 una politica lungimirante cercò di intervenire avviando il Piano di Recupero del Centro Storico. C’era la consapevolezza che il futuro dell’area centrale fosse legato in modo ineliminabile a quello della città intera comprese le periferie. Erano sindaci Giulio Carlo Argan (1976-79) e Luigi Petroselli (1979-81), e Assessori all’Urbanistica e al Centro Storico la professoressa Vittoria Calzolari a cui seguì il professor Carlo Aymonino.
Riflettere e valutare quella esperienza è doveroso per rintracciare il senso di strumenti operativi che allora furono efficaci e forse, rinnovati ed integrati, potrebbero essere ancora attuali. Bloccherebbero la sostituzione sociale della popolazione e, in parte, affronterebbero l’emergenza abitativa che si stima oggi riguardi circa 50.000 famiglie.
Serve un coraggioso impegno: il Centro Storico, a fronte della necessità di alloggi continua a perdere abitanti: al 2011 (ultimo censimento) sono scesi a 150.760 (come riportato su #mapparoma). La stima ad oggi è ancora più sconfortante se confrontata con il dato che, ad esempio a Trastevere, il 44% degli alloggi è ormai destinato a non residenti.
Nel luglio del 1977 si tenne a Roma la prima Conferenza Cittadina su problemi urbanistici. Sulla base di una seria conoscenza dello stato del centro, con studi svolti dal comune stesso e da istituti specializzati, emerse la necessità di un intervento di salvaguardia e di recupero del centro storico: per eliminare lo spreco dovuto all’abbandono e al degrado di abitazioni e palazzi e per bloccare lo svuotarsi progressivo di una parte della città e il degradarsi della sua struttura sociale.
Prese così avvio il Piano di Recupero del Centro Storico di Roma
Grazie ad esso si introdusse anche nella Capitale l’applicazione di una normativa innovativa ed avanzata per i centri storici, sperimentata già a Bologna con l’assessorato (1964-1980) del professor Pier Luigi Cervellati: la salvaguardia dei nuclei antichi passava dalla tutela dei singoli monumenti alla difesa integrale della città storica nel suo complesso.
A Roma grazie ai Piani di Zona, trovarono casa circa 500.000 abitanti e soprattutto c’era finalmente la possibilità di intervenire nei centri storici, con l’obiettivo di ricollocarvi le persone che ne erano state o che correvano il rischio di esserne allontanate. Furono modificate le norme sull’espropriazione per pubblica utilità e attuate politiche di recupero, realizzabili sia da privati che dai comuni direttamente o in convenzione con i primi.
Per la prima volta si restaurano nel centro storico, a cura del Comune, case da assegnare a canone sociale.
Si prevedono inoltre soluzioni abitative innovative: case famiglia, alloggi per singoli e anche la creazione di servizi come centri anziani, centri culturali, botteghe artigiane.
Questo il quadro degli interventi nel C.S. a Roma, come riportato nel fascicolo a cura del Comune di Roma – Assessorato per gli interventi nel Centro Storico, Roma 1981:
- TOR DI NONA ALL 113 più botteghe ed altri servizi
- SAN PAOLO ALLA REGOLA ALL 15 più botteghe ed altri servizi
- CAPPELLARI ALL 6 più botteghe ed altri servizi
- PIZZICARIA ALL 4 più centro culturale
- BORGO PIO ALL 20 più botteghe
- CORRADO RICCI ALL 26 più botteghe ed altri servizi
- VIA del BOLLO ALL 4 più botteghe
- Piazza SONNINO ALL 20 residenza per anziani
- CIALDINI ALL 102
- TOT ALL 310
Oggi, camminando a Lungotevere Tor di Nona o al passetto di Borgo o intorno al Colosseo o a San Paolino alla Regola è difficile distinguere una casa popolare da una casa borghese. La città storica si conferma principio di integrazione ed inclusione sociale che, a sua volta, diviene bene prezioso per l’identità dell’intera cultura urbana.
In questo senso si vuole raccontare la storia complessa dell’intervento a Piazza Sonnino
Il piano di recupero (n. 3 ex L. 457) interessa l’isolato a ridosso della chiesa di Sant’Agata. Include un edificio a 3 piani, di proprietà comunale, divenuto convento a partire dal XVI sec; un edifico a 5 piani sempre di proprietà comunale e due aree contigue su via G. Modena, una di proprietà del Comune, l’altra dello Stato, occupate da costruzioni precarie.
Gli obiettivi del piano sono due: realizzare alloggi per anziani e servizi inclusi negli ambienti a piano terra, ad esclusione della farmacia; ripristinare il giardino del convento.
Il complesso di Sant’Agata, concesso alla Confraternita della Dottrina Cristiana per l’Insegnamento, assume la forma definitiva alla fine del ‘600: a piano terra sono collocate scuole, refettorio, cucine, servizi e l’accesso all’orto. Al primo piano le camere dei maestri, la sala comune e la biblioteca e al secondo piano il noviziato. La chiesa viene completamente rifatta all’inizio del ‘700 da Giacomo Recalcati con un sobrio stile roccocò.
Il complesso del convento fa parte del Demanio dello Stato (1873) ed appartiene al Comune di Roma e al Fondo di Culto che dal 1909 lo dona, in parte, all’Arciconfraternita del SS. Sacramento e di Maria SS. del Carmine in Trastevere.
Dopo il 1883, il complesso viene utilizzato parzialmente come asilo della comunità israelitica e poi a partire dal 1913 come Rifugio di minorenni il “Majetti” che garantiva l’abitazione ai ragazzi ex detenuti, agli istitutori, al personale di servizio, ai maestri d’arte ed utilizzava i locali a piano terra per laboratori-botteghe, in particolare per la produzione di giocattoli.
Nel 1963 l’edificio è dichiarato pericolante e i locali nel 1973 vengono murati, tranne quelli a piano terra per i quali si stipulano contratti regolari di affitto tra i commercianti e il Comune. È evidente, dunque, che il complesso ha sempre avuto un profilo a forte carattere sociale.
Il progetto d’intervento, coerente con l’originaria destinazione conventuale, prevedeva una casa collettiva con 20 alloggi minimi, servizi comuni e dismissione delle attività commerciali.
I lavori iniziarono il 12-2-1980 ma il cantiere trovò molti ostacoli. L’obiettivo originario era vanificato in parte per le attività commerciali presenti ma anche per il frazionamento delle proprietà.
Il cantiere di fatto si interrompe per anni
A partire dal 1989, un presidio di cittadini in lotta per la casa inizia un dialogo con il Comune e l’Assessorato del Patrimonio per definire un progetto per la realizzazione di alloggi.
Nel ’98 viene emanata dalla Regione Lazio la Legge n. 55/98 di autorecupero che stanzia dei fondi per il recupero delle parti strutturali degli edifici. Si dà la possibilità a cittadini in stato di bisogno, organizzati in cooperative, di completare gli interni a sconto affitto.
Ed è così che nasce la cooperativa VIVERE 2000 che vince il bando per l’assegnazione di alloggi in autorecupero su progetto dell’arch. Maurizio Crocco.
La cooperativa è ancora attiva ed è titolare dell’uso dell’immobile
Nel 2008 sono completati ed abitati 12 alloggi, di dimensioni modeste, che ospitano persone sole e famiglie di varia estrazione ed etnia tra cui una scultrice di oltre 90 anni.
Le costruzioni precarie che occuparono il giardino e l’orto del convento permangono. Quella di proprietà del Fondo di Culto è stato oggetto di una proposta per un museo della Madonna de’ Noantri, conservata nella chiesa di Sant’Agata. L’altra è in gestione della cooperativa VIVERE 2001 che ne garantisce l’agibilità per attività di laboratorio culturale: un interessante luogo di creatività ed avanguardia.
Un esempio significativo perché non solo i cittadini hanno lavorato contro lo spreco di un cantiere interrotto e oggi hanno una casa. Ma mantengono viva la disponibilità all’accoglienza di abitanti meno fortunati e sostengono l’attività di uno spazio sociale vitale e ricco di iniziative soprattutto per i giovani. Come se il vecchio Majetti avesse lasciato una traccia nel genius di questo luogo.
C’è ancora molto da fare, come dice il responsabile della cooperativa Salvatore, memoria storica delle vicende che riguardano sia gli alloggi che il laboratorio. Ma nonostante le difficoltà di gestione “il cantiere” continua e testimonia ancora come l’inclusione e l’integrazione siano seme di creatività e identità del centro storico.
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