Cosa sta succedendo ai lotti popolari del centro storico?

 

I circa 75000 alloggi destinati all’Edilizia Residenziale Pubblica (ERP) di Roma, meglio noti come case popolari, sono per una parte di proprietà del Comune di Roma (circa 28000) e per l’altra dell’Ater del Comune di Roma (Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenziale). Quest’ultima è in una situazione di forte indebitamento e naviga da anni sull’orlo del fallimento. Lo stato di difficoltà finanziaria impedisce di fatto all’Ente predisposto di assolvere la sua funzione per fronteggiare le esigenze abitative delle classi meno abbienti e di conservare l’integrità del patrimonio che gestisce. La situazione è singolare se si pensa che all’origine del rischio di fallimento dell’Ater c’è un enorme debito accumulato nei confronti del Comune di Roma per il mancato pagamento delle imposte comunali (ICI e IMU) sul patrimonio immobiliare. Praticamente una supercazzola prematurata. Verrebbe da chiedersi infatti come è possibile che, nello svolgere la sua funzione pubblica, un Ente sia in difficoltà per il pagamento delle imposte verso un altro Ente, il Comune, tra l’altro responsabile dell’assegnazione del servizio stesso. In altre parole è un po’ come se voi chiedeste alla donna delle pulizie di pagarvi l’affitto per le ore in cui ha svolto il suo lavoro nella vostra casa. Anche perché, per far fronte a questo dissesto finanziario, il 25 giugno, è stato approvato dalla Regione Lazio un piano di risanamento che prevede, in piena emergenza abitativa, la dismissione di parte del patrimonio immobiliare dell’Ente. Per cercare di capire l’origine di questa situazione paradossale nella quale versa la gestione dell’edilizia popolare proviamo a fare chiarezza sul perché di questo debito e sulla ragione della tassazione sulle case popolari. L’Ater è stata istituita nel 2002, in sostituzione dell’Istituto Autonomo Case Popolari (IACP) del Comune di Roma e, a differenza dell’ex istituto, è un Ente pubblico economico regionale dotato di personalità giuridica, autonomia imprenditoriale, gestionale, patrimoniale e contabile. Tradotto, con l’istituzione dell’Ater, l’Ente gestore delle case popolari è stato trasformato da Ente non economico a Ente economico bla bla bla e, sia pure nell’assolvimento della funzione di pubblica utilità, la sua attività è pertanto pari all’attività imprenditoriale ed è quindi governata dalle norme di diritto privato e gestita secondo criteri di carattere economico. Il risultato di questa trasformazione ha di fatto escluso l’ente dal flusso dei finanziamenti garantiti dallo Stato e demandato all’attività imprenditoriale dello stesso la sostenibilità economica dell’azione di contrasto al disagio abitativo e di manutenzione del patrimonio immobiliare esistente. Di conseguenza, lo stesso patrimonio immobiliare (case popolari) è divenuto quindi oggetto d’imposta comunale (ICI e IMU), che a tutti gli effetti si trasforma, in questo caso singolare, in un’imposta sull’utilità pubblica generata. Tutto questo per spiegarvi quindi il perché, aldilà della possibile malagestione, della prossima dismissione di parte delle case popolari nel Comune di Roma. Nell’ampio piano di risanamento è prevista infatti la vendita a prezzo di mercato di circa 5.000 strutture, residenziali e commerciali, definite di “elevato pregio”, in quanto centrali, di valore architettonico o situate in zone periferiche ma che “evidenziano requisiti di centralità”: trasporti, scuole e servizi. Praticamente in quelle zone che vengono individuate come quelle in grado di garantire una migliore vivibilità, un po’ troppo quindi per i poveracci! La vendita degli immobili, che include tra le zone anche Trastevere, servirà quindi a risanare i conti e a finanziare la manutenzione del patrimonio restante e la costruzione di nuovi alloggi in zone periferiche. Tutto questo, definito necessario per le ragioni appena descritte, aldilà della contraddizione di fondo, non fa altro però che accelerare il processo di trasformazione urbana che vede la popolazione romana abbandonare le zone centrali riservate ormai quasi esclusivamente all’uso turistico. Un fenomeno che riguarda ormai non solo le zone prettamente centrali e che sta trasformando interi quartieri, tra cui Trastevere, in parchi divertimento, privi della loro essenza sociale e della loro unicità. Dietro al carcere Regina Coeli, a Via degli Orti d’Alibert troviamo uno dei complessi di lotti popolari di proprietà dell’Ater. Tra Palazzo Salviati, Via delle Mantellate e la villa omonima, la struttura si erge in salita seguendo la naturale pendice del Gianicolo.
Sviluppato sulla parte destra della strada, il complesso è stato stalla nell’800, saponeria nei primi del ‘900 per poi essere riconvertito in case popolari nel quarto decennio del secolo scorso. Lontano dai rumori, strutturalmente chiuso e dall’aspetto fatiscente, nei suoi cortili si ha la sensazione di entrare in un’altra epoca. Il colore dominante è il rosso, ed è un piacere perdersi tra un ballatoio e l’altro: un piccolo labirinto isolato dal resto del quartiere, in cui una scala nasconde un’altra scala e dentro un cortile si cela un altro cortile. I lotti sono residenza di circa 120 persone, con delle scale (dalla A alla M) con al massimo 6 abitazioni ciascuna. I cortili comuni abbelliti da piante dagli abitanti, le biciclette parcheggiate, gli stendini con i panni stesi, l’aria dal profumo fresco di bucato ed i ballatoi bassi che congiungono i vari corridoi abitativi danno complessivamente l’idea di borgo cittadino, una piccola comunità all’interno di un’altra comunità quale è Trastevere. Eppure sono evidenti i segni di una mancata manutenzione degli spazi collettivi: crepe, infiltrazioni, cedimenti di intonaco e muffa non passano inosservati. Interventi necessari che dovrebbero essere a carico dell’Ater. In una struttura non popolare questo tipo di lavori andrebbero gestiti dal condominio stesso. In un complesso popolare, ovvero con abitazioni assegnate secondo requisiti di reddito dal Comune ai cittadini, il condominio è gestito economicamente dall’Ente proprietario, ovvero l’Ater, appunto.
Condominio che comprenderebbe anche riscaldamento e acqua, anche in questo caso spesso manchevoli.
Sulla base delle azioni previste dal piano di risanamento, quello che potrebbe succedere ad Orti d’Alibert è una privatizzazione degli spazi abitativi: vendere a prezzi di mercato le case non assegnate e dare possibilità di comprare al 50% agli assegnatari. Le abitazioni, dai 50 ai 60 mq, sarebbero vendute tra i 200 e i 250 mila euro (la metà ai già assegnatari).
La posizione geografica, tra Trastevere il centro storico e San Pietro, è uno dei pochi requisiti a far alzare il prezzo di mercato, poiché le abitazioni e la struttura stessa, necessitano di ristrutturazione.
Infatti nel caso di privatizzazione i futuri privati dovrebbero sopperire al deficit di manutenzione del condominio, risanare quindi tutto il mancato lavoro degli anni precedenti e pagare per anni tutto quello che non è stato fatto, solo per gli spazi comuni. Va da sé che tra il prezzo iniziale di mercato, i lavori di una ipotetica ristrutturazione, e le certe e assolute spese di condominio (privato) più alte di un qualsiasi già alto condominio di Trastevere, i futuri privati di Orti d’Alibert sono già descritti in una elitaria e abbiente fascia sociale. Non è difficile immaginare quindi che, da qui ai prossimi 10 anni, quegli stessi privati decidano di rientrare dalle spese e di adibirle a case vacanza sfruttando proprio quella posizione perfetta di cui sopra. Così, di quel borgo immerso nella città, quell’isola comunitaria, resteranno le immagini, le testimonianze i ricordi per dare spazio ad un paradiso privato dove probabilmente il turista porterà le foto ad una cena di rientro, per fare vedere ai commensali “la mia casa a Roma”.

 

Di Giovanna Santirocco e Andrea Cori

Illustrazione di Ludovica Cefalo

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