“Da piccolo ho conosciuto la fame e so bene quello che prova un bimbo quando, tornando da scuola o dal campetto di calcio, vede qualcuno che passeggia con un gelato fra le mani, senza avere abbastanza spiccioli in tasca per acquistarlo a sua volta. E i vecchi, i pensionati, gli emarginati come il povero ‘Ova sode’, credete che un desiderio del genere non lo abbiano mai avuto? E poi gli studenti… studiano come i miei quattro figli, è giusto dare loro un po’ di refrigerio a buon mercato”. Queste parole, pubblicate a metà degli anni ’70 sulle pagine di un giornale romano, spiegano bene chi era Gerardo Appolloni, un grande trasteverino nato nel 1939 e scomparso lo scorso 8 settembre.
A Roma, Gerardo ci è arrivato quando aveva sei anni, sceso da Foligno in cerca di lavoro in quella città che si stava riprendendo faticosamente dalla guerra e dall’occupazione nazista e che lentamente si preparava a diventare la capitale della nuova repubblica italiana.
In pochi anni, lavorando notte e giorno in vari bar della città, riuscì a mettere da parte un gruzzoletto necessario per aprirne uno tutto suo, al civico 261 di viale Trastevere, di fronte a quello che oggi è una sala Bingo ma che all’epoca ospitava il Cinema Garden.
Oltre a essere un grande lavoratore, Gerardo Appolloni era prima di tutto un uomo buono, gentile, allegro e dal grande cuore. Negli anni del boom dell’inflazione, bloccò a cento lire il prezzo di un cono gelato nel suo bar, quando mediamente in città se ne pagavano almeno cinquecento. L’offerta non era valida solo per studenti o pensionati, come era scritto sul cartello che campeggiava all’ingresso del locale, ma per chiunque volesse togliersi lo sfizio senza avere abbastanza soldi. Un gesto che non era frutto di una trovata pubblicitaria per cercare di accaparrarsi qualche cliente in più, ma che nasceva da un profondo senso di carità cristiana e dall’aver provato sulla propria pelle la povertà.
Raccontò che durante un Ferragosto, quando era ragazzino, dovette girare mezza Roma a piedi per trovare un posto aperto dove mangiare qualcosa: “Da quando ho aperto il bar, memore di questo episodio, a Ferragosto non sono mai mancato all’appuntamento con i quattro gatti costretti a restare in città. Il mio è l’unico esercizio aperto, al servizio degli abitanti di quattro quartieri: specialmente il latte, il 15 agosto, diventa un bene rarissimo”.
Uno dei quattro gatti doveva essere certamente “Ova sode”, un vecchio barbone chiamato così per via del suo cibo preferito, le volte che poteva permetterselo. Viveva in una baracca di lamiera con annessa “dependance” per la stagione estiva fatta di cartone e stracci in via degli Orti di Cesare, a pochi metri dall’Antica Stazione Trastevere. Era solo e ammalato, tanto che un giorno venne prelevato dalla sua “casa” e venne portato addirittura alla Neuro, ritenuto evidentemente matto. L’unico amico che aveva era proprio Gerardo Appolloni, che non solo provvedeva giornalmente al suo quotidiano sostentamento, ma si prodigò in ogni modo per riuscire a procurargli una pensione prevista in quegli anni per gli ultrasessantacinquenni sprovvisti di reddito. Per farlo, dovette praticamente ricostruirgli un’identità, riuscendo a trovare i documenti necessari nonostante Francesco Pierantonelli, questo il vero nome di “Ova sode”, fosse sparito dagli archivi dell’anagrafe.
Questi due episodi, finiti entrambi sulle pagine dei quotidiani romani del tempo, sono solo alcuni esempi del carattere e dell’umanità di Gerardo Appolloni, che per il suo modo di vivere e intendere la professione del barista, ricevette molti riconoscimenti sia dal comune di Roma sia da enti e associazioni romane e internazionali, come quello ottenuto nel 1983 dall’Atways Tourist Associations Inc. of America per la “cortesia, integrità e ospitalità che ha sempre mostrato” nei confronti dei suoi clienti.
Gerardo Appolloni è stato un grande trasteverino, che senza perché, senza calcoli di sorta, per semplice bontà, ha fatto del bene a chi gli era intorno. Un uomo che la rivista del rione non poteva non ricordare.
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