Di fantastudi e di fantagiochi…

 

In Via del Mattonato, al numero 34, abita il signor Ardesio Beccaccini, per anni collaboratore scolastico della scuola dell’infanzia “La Scala”, sita nell’omonima piazza. Ardesio, oggi in pensione, ha dedicato l’intera vita all’invenzione di giochi, sempre diversi e sempre nuovi, con l’obbiettivo di stimolare, durante la ricreazione, i piccoli studenti. Questa sua passione l’ha portato, nel tempo, a divenire uno dei massimi esperti di gioco, tanto da essere sovente intervistato da riviste specializzate in quelli che lui stesso definisce “i simposi all’amatriciana” (dalla scelta di convocare i suoi intervistatori nelle varie trattorie trasteverine).

Quando dalla redazione del Ventriloco ci hanno comunicato il filo rosso del numero che state sfogliando, abbiamo subito pensato ad Ardesio e, dopo un paio di giorni di digiuno preparatorio, ci siamo fatti coraggio e l’abbiamo incontrato. Volevamo sapere se avrebbe potuto aiutarci a scovare qualche gioco poco conosciuto. Prontamente, il buon Beccaccini, ha tirato fuori dal cilindro questo articolo apparso su una nota rivista di settore The Ventriloquist. Lo riproponiamo completo, financo, di una riflessione di Ardesio stesso in coda al pezzo.

L’anno passato, un gruppo di ricercatori della Columbia University (capitanato dal Prof. Harvey Bottom), ha prodotto un interessante elenco di giochi, un tempo largamente diffusi tra la popolazione mondiale, ed oggi apparentemente scomparsi dalla memoria collettiva.

Le ricerche sono state svolte nell’ambito di un progetto inter-ateneo denominato “The playful deepening” che, tra gli interessanti sviluppi, ha avuto quello del progressivo abbandono dei ricercatori coinvolti. Intervistati, dichiaravano di non voler più lavorare, di non aver più voglia di fare nulla se non dedicarsi ad una vita giocosa e priva di responsabilità.

Il Prof. Bottom, unico “superstite” del gruppo di ricerca, ha, seppur in solitaria, tirato le fila del progetto e prodotto l’elenco a cui si accennava qui sopra.

Non possiamo, per ovvie ragioni, riportarlo per intero, ne forniremo un estratto in ordine sparso, a testimonianza del valore profondo di questa ricerca e dell’importanza di dedicarsi ad una vita nel segno della responsabilità e dell’etica lavorativa. Valori dei quali, l’esimio Bottom è ambasciatore assoluto.

 

Palla Invisibile [antico gioco, di probabile origine anglosassone e periodo medievale]

Quattro o più concorrenti si dilettano a rincorrere una palla invisibile, con l’unico obiettivo di evitare che essa tocchi il terreno. Pare che, in alcune versioni del gioco, si potesse gridare “double!” sdoppiando la sfera in due e complicando, conseguentemente, il gioco.

Ho visto Gina! [gioco centro italiano di periodo incerto, può chiamarsi anche Ho visto Druilia o Ho visto Adalgisa, a seconda delle regioni]

Questo particolare gioco, forse legato all’arrivo della primavera e dei conseguenti appetiti amorosi, consisteva nel cercare di incrociare più volte nella stessa giornata, lungo le vie del paese, una ragazza in età da matrimonio.

Al crepuscolo, i partecipanti, si riunivano e facevano la conta dichiarando il vincitore. Sembra, in effetti, che questo gioco sia all’origine della progressiva sparizione di alcuni nomi femminili.

Cesto! [gioco indù]

Antenato del moderno Basketball ed in tutto e per tutto simile; veniva però giocato con un mango maturo.

Mamma li Turchi [gioco partenopeo, diffuso su tutta la costa tirrenica tra Roma e Napoli]

Ci si divide in due gruppi: i turchi ed i pescatori impauriti. I turchi arrivano dal mare inseguendo e cercando di toccare i pescatori impauriti (come nella moderna “acchiapparella”). Chi fa il turco deve effettivamente partire
dal mare, ed inseguire, quindi, con addosso i vestiti grondanti d’acqua. Quando un pescatore impaurito viene toccato diventa turco. Deve, quindi, andare in mare a bagnarsi ed iniziare l’inseguimento a sua volta. Il gioco ha l’handicap di terminare quasi subito, poiché non si distinguono più i turchi dai pescatori impauriti a causa dell’inzuppamento generale.

Facciamo a chi lancia il sasso più lontano? [di questo gioco, purtroppo, non è stato possibile rinvenire altra informazione che il nome; restano quindi misteriose origini e, sopratutto, regole]

Il Cardinal Bistolotti ha mangiato sei biscotti! [gioco provenzale della
seconda metà dell’ottocento]

Nonostante il nome particolarissimo, le regole di questo gioco erano piuttosto semplici: ci si divideva in due squadre da otto. Ciascuna squadra eleggeva un giocatore “jolly” che poteva passare all’altra squadra semplicemente gridando, in una qualsiasi fase del gioco, “frittata d’ortiche!”. Una volta che il “jolly” di una squadra lanciava il segnale, l’altro “jolly” era obbligato ad indossare una fascia porpora sul braccio destro e saltellare sul posto recitando la seguente filastrocca: “il cardinal Bistolotti ha mangiato sei biscotti, or ne restano trentatrè, quattro a te e ventisei a me!”. Intanto, il resto della squadra, sceglieva da un mazzo di carte (una particolare tipologia di tarocchi tardo-provenzali denominati “les insondable”) tre carte, che venivano utilizzate in un secondo momento. Solo allora iniziava il gioco vero e proprio: si correva in cerchio lanciandosi una mezza sfera in cuoio e contando fino a duecentotre in coro (se qualcuno recitava un numero fuori tempo si ripartiva). Se la mezza sfera cadeva in terra, due sfidanti (uno per squadra), si affrontavano alle carte (secondo una gerarchia di valori complicatissima e non del tutto chiara). Infine, nella terza ed ultima fase di questo essenziale gioco, ci si disperdeva per le strade del borgo alla ricerca di una lista di oggetti rari, nascosti, in ogni dove, nelle settimane precedenti alla partita.

Castello di Paglia [gioco greco del I sec. d.C.]

Si elegge un giocatore a cui viene chiesto di impersonificare il “male” che in quel particolare momento, più di ogni altro, sta affliggendo la comunità (un’epidemia, venti di guerra, una carestia, una dittatura, una crisi economica, etc.). Il giocatore (in alcune versioni denominato “sacerdote”) si agghinda con costumi e maschere che ritraggono, concettualmente, il “male” da sconfiggere.
Si sposta quindi a vivere in un castello di paglia costruito appositamente dalla comunità e vi resta fin quando il male non abbia cessato di affliggere il suo popolo. L’intero villaggio si occupa di portare cibo e tenere in piedi il castello di paglia, tanto a lungo quanto considerato necessario. Passato il male, il giocatore può finalmente dismettere le vesti e far ritorno alla propria abitazione.
A questo punto, il castello viene dato alle fiamme in segno di liberazione. Questo gioco è stato annoverato con gli altri nella lista (pur essendo effettivamente più vicino ad un rituale) poiché pare fosse molto popolare tra i bimbi, i quali costruivano piccoli castelli di paglia e vi giocavano con lo scopo di risolvere gli apparentemente insignificanti mali che affliggevano la loro piccola comunità.

Seguiva, poi, una nota all’edizione italiana con commento di Ardesio Beccaccini: “Credo fermamente nel valore del gioco. Il gioco, in tutte le sue accezioni, permette di varcare quell’esile frontiera tra la realtà e la fantasia, con la leggerezza propria dei momenti in cui ci si diverte e ci si lascia andare con spontaneità, sospendendo il giudizio sul mondo e su se stessi ed abbracciando l’essenza delle cose. Proprio quell’essenza che fa della felicità effimera, derivante da un gioco inventato per passare il tempo, una duratura corazza per affrontare gli spigoli della vita”.

Quella leggerezza che ci permette di non star troppo a domandarsi se io, Ardesio Boccaccini, esista o sia semplicemente frutto della fantasia di chi scrive, ma ci costringe necessariamente ad andare a curiosare al numero 34 di Via del Mattonato, per vedere che faccia ho”.

 

Scritto e illustrato da Chien Barbù Mal Rasé

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