“Chi gioca ai cavalli è un misto, un cocktail, un frullato de robba, un minorato, un incosciente, un regazzino, un dritto e un fregnone, un milionario pure se nun c’ha ‘na lira e uno che nun c’ha ‘na lira pure se è milionario. Un fanatico, un credulone, un buciardo, un pollo, è uno che passa sopra a tutto e sotto a tutto, è uno che ‘mpiccia, traffica, imbroglia, more, azzarda, spera, rimore e tutto per poter dire: Ho vinto! E adesso v’ho fregato a tutti e mo beccate questa… tié! Ecco chi è, ecco chi è il giocatore delle corse dei cavalli”.

La personalità sfaccettata e poliedrica di un giocatore d’azzardo, nelle parole di Mandrake in “Febbre da cavallo”, ci fa molto sorridere.

Il giocatore è tutto questo e molto altro, ma scommettere non è sempre un problema e per molti tentare la fortuna è passatempo e socialità.

Il gioco rappresenta una tradizione culturale di tutte le società verso la quale l’uomo, sin da piccolo, è sempre propenso. Il gioco d’azzardo affonda le sue radici fin dall’antichità, compresa l’antica Roma.

I giochi principali sui quali si scommetteva erano le lotte dei gladiatori, le corse dei carri, i dadi e, a testimonianza di questo, sono state rinvenute insegne recanti la scritta “panem et circenses” legate a Giovenale che, ne Le Satire, affermava “il popolo solo due cose ansiosamente desidera: pane e giochi” a significare come, oltre al bisogno di nutrirsi, rimanga sempre anche la necessità di giocare, quasi fosse un bisogno primario. E in effetti giocare è un bisogno primario.

Da bambini, il gioco è espressione del nostro mondo interiore; è un’attività spontanea che svolge molte funzioni tra cui la socializzazione, la comunicazione, la relazione con se stessi e con gli altri. Il gioco insegna a discriminare fantasia e realtà, fa aumentare l’eccitazione e lascia spazio alla creatività, ci fa desiderare e costruire mondi che non esistono, fondamentali per lo sviluppo affettivo, cognitivo, motorio, relazionale e agonistico.

Siamo consapevoli che crescendo per il gioco c’è sempre meno tempo, comunque cerchiamo il modo di continuare a farlo. Il gioco “sano” è espressione di vitalità, valvola di sfogo dal quotidiano, “è l’universale e appartiene alla sanità psichica e fisica” (Winnicott) e si manifesta con attività creative, sociali e personali.

A volte però, il gioco può diventare problematico. Quando comincia a pregiudicare il funzionamento della vita quotidiana vuol dire che si sta entrando nella dimensione patologica delle dipendenze. La dipendenza non è un vizio ma una vera e propria malattia caratterizzata da un processo che si innesca quando una persona, nel contatto con una particolare sostanza o situazione, si sperimenta in maniera diversa e vive questa ristrutturazione del Sé come positiva e più funzionale.

Il disturbo siglato come Gap (Gioco d’azzardo patologico) rientra nelle New Addictions (nuove dipendenze) nelle quali, rispetto alle “classiche” dipendenze, non è implicato il coinvolgimento di una sostanza chimica d’abuso ma un comportamento (gioco d’azzardo, shopping compulsivo, TV, internet, videogiochi, lavoro, esercizio fisico, ecc.).

Un grande classico è la convinzione di potersi fermare da soli quando lo si desidera, finché la persona non comprende che non può resistere a certi desideri.

Per far comprendere meglio al lettore, ognuno di noi ha sperimentato la dipendenza nella propria vita. Da bambini siamo stati tutti dipendenti dalle persone che si prendevano cura di noi finché non siamo diventati grandi e la dipendenza da assoluta è diventata matura (“da solo ce la posso fare ma se, a volte, ho qualcuno con me che mi aiuta è meglio”).

Possediamo tutti abitudini quotidiane che provocano piacere.

Sono fondamentali per il nostro equilibrio e spesso scandiscono le nostre giornate (caffè, social network, giornale, ecc.). La loro caratteristica principale è la possibilità di farne a meno qualora la vita richieda un cambiamento, mentre nella dipendenza vera e propria vi è l’incapacità totale di rinunciare alla fonte illusoria del piacere.

I comportamenti che devono far allarmare fanno riferimento a: bisogno di giocare con una sempre maggiore quantità di soldi; essere sempre alla ricerca di denaro (chiedere prestiti ad amici e familiari, banche e finanziarie); minimizzare l’entità delle perdite e dei problemi connessi al gioco; continua voglia di rifarsi delle perdite di denaro; impossibilità di smettere di giocare; mentire a parenti, amici, colleghi sulla frequenza e sulla gravità della problematica.

Nelle altre dipendenze i soldi sono un mezzo per procurarsi la sostanza, mentre nel Gap, i soldi sono sia mezzo che fine, in quanto sono il mezzo con cui giocare per ottenere altro denaro o come direbbe un giocatore “pe’ mettece ‘na pezza”.

Il vero giocatore d’azzardo non gioca per vincere, perché se vincesse sarebbe autorizzato a smettere di giocare, avendo raggiunto il suo scopo.

Il fine è continuare a giocare.

I sentimenti suscitati dalla vittoria e dalla sconfitta, abbandono e depressione da un lato ed eccitazione dall’altro, sono così intrecciati che è impossibile la piena soddisfazione perché, come diceva Dostoevskij ne Il Giocatore, “Vero è che su cento uno solo vince, ma a me che importa?”.

Tutto comincia da una o più vincite a cui fanno seguito fantasie di successi spettacolari con un’euforia paragonabile a quella indotta dalla cocaina. La perdita di autocontrollo si manifesta a partire dal pensiero del gioco, che diventa prevalente in qualsiasi altra attività sta svolgendo la persona, fino ad arrivare all’impossibilità di non giocare.

Seguiranno episodi “sfortunati” ed è qui che inizia “l’inseguimento” per rifarsi delle perdite. Non c’è più nulla che conti nella vita del giocatore dipendente e il disinteresse è così pervasivo che finirà per perdere la sua stessa libertà.

Siamo nel mondo del segreto a cui, presto o tardi, seguirà quello della chiarezza.

Il giocatore patologico progressivamente comincia a credere nell’illusione di poter controllare il gioco e dominare la fortuna: se vincerà non sarà stato “per caso” ma per suo merito. Le false credenze e i pensieri erronei condizionano il suo comportamento (ad esempio se al Lotto scommette sul numero 3 e all’estrazione uscirà il 4, egli penserà “che sfiga, ho quasi vinto” invece di pensare che l’estrazione è sempre un evento casuale).

Il Gap è la malattia di uno che diventa la malattia di tutti. Abbiamo riscontrato, al di là delle statistiche, come sia una “dipendenza democratica” in quanto potrebbe coinvolgere indipendentemente da sesso, età, ceto sociale e, di fatto, non sono queste le caratteristiche che interessano i clinici quanto piuttosto la storia personale e la personalità della persona coinvolta.

Si tratta di una patologia che porta con sé conseguenze personali, familiari, sociali, lavorative, affettive, ecc., perché coinvolge, direttamente o indirettamente, tutta la costellazione di persone che ruota intorno a lui.

Qualsiasi trattamento prende necessariamente le mosse da un momento di riflessione, individuale o familiare, in cui il soggetto deve prendere coscienza della gravità del problema e decidere di chiedere aiuto.

Quando emerge tutta la drammaticità della problematica, la condizione vissuta dal giocatore dipendente è di grossa solitudine, crolla il suo mondo e quello delle persone a lui care.

Il lavoro che svolgiamo come psicologhe e psicoterapeute riguarda spesso il supportare le persone con problemi di Gap e le loro famiglie. Gli obiettivi di una psicoterapia sono sempre molti ma principalmente offriamo loro ascolto, sostegno e la possibilità di uscire da questa solitudine (prevenzione al suicidio) perché la difficoltà maggiore interessa proprio il momento di passaggio dal mondo del segreto al mondo della chiarezza.

 

 

Di Claudia Bartalucci, Allegra Celli, psicologhe psicoterapeute – psicoesploramente@gmail.com

Qualora il lettore si sia appassionato all’argomento, rimandiamo alla lettura del testo Non è solo un gioco. Superare la dipendenza da gioco d’azzardo patologico, Angelucci A., Bartalucci C. San Paolo Editore.

Illustrato da Martina Manna

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