Voci dal carcere di Regina Coeli. Lettera di Hassan a Ezio Savasta

 

Per il Natale, anno dopo anno, il venticinque dicembre, la “rotonda” di Regina Coeli si trasforma in salone delle feste. Per questa particolare occasione, un nutrito gruppo di amici della Comunità̀ ottiene il permesso di entrarvi e in meno di un’ora quel ambiente spoglio e inquietante subisce un radicale make-up, a cui i detenuti assistono da dietro le grate delle sezioni che affacciano su di esso. Vengono portati lunghi tavoli, che sono apparecchiati con eleganza e cura, secondo la tradizione natalizia, e le inferriate nere dei ballatoi sono rivestite di festoni, stelle e nastri dorati.

Tra i detenuti – un po’ più̀ di un centinaio – che di solito partecipano al pranzo di Natale, c’era Hassan, un egiziano, amico di vecchia data.

Qualche giorno dopo, come ringraziamento per l’invito ricevuto, mi ha consegnato una lettera nella quale, tra l’altro, ha scritto:

“… Ho iniziato a vedere che entravano nella ‘rotonda’ un sacco di persone, qualcuno lo riconoscevo ma molti erano perfetti sconosciuti. Portavano buste di materiale. Piano piano più̀ di dieci grandi tavoli sono stati disposti a spina di pesce e poco dopo, non so da dove, sono arrivate tante sedie. Improvvisamente tutto si è colorato di rosso e dorato, le tovaglie che ricoprivano i tavoli, gli striscioni e le coccarde che venivano sistemate sulle ringhiere dei ballatoi. Di sottofondo si iniziava a sentire musica natalizia. Le tavole sono state apparecchiate con dei piatti molto belli. Penso: ‘Mamma mia, oggi a Regina Coeli deve venire un pezzo grosso’.

Verso le 13,00 era tutto perfetto. L’agente inizia a chiamare i detenuti autorizzati ad andare al pranzo. Scendo al piano terra, non sono più̀ un bambino ma mi sento emozionato. Io sono musulmano, non è la mia festa, ma i miei amici di Sant’Egidio ci hanno tenuto molto che io fossi presente. Arriva l’agente che ci apre il cancello della ‘rotonda’. Davanti a me la ‘bella sala’, mi vengono incontro quelli che avevo visto lavorare dalla mattina, sono sorridenti, mi stringono la mano, il mio grande amico mi abbraccia e capisco che è felice. Uno di loro con gentilezza mi accompagna al mio tavolo, mi invita ad accomodarmi con un sorriso simpatico.

Allora penso: ‘Oddio, sono io il pezzo grosso invitato al pranzo!’.

Mi sento orgoglioso, felice, emozionato. Non ricordo di essermi mai sentito così dentro queste mura. Mi guardo intorno, sorrido e ringrazio, al mio tavolo ci sono altri detenuti e anche amici che vengono dalla libertà e inizia il pranzo. Sono felice!”. 

 

Tratto dal libro di Ezio Savasta “Liberi dentro. Cambiare è possibile, anche in carcere”, Infinito edizioni.

Illustrazione di Matilde Adele

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