ANGOLI DI TRASTEVERE

 

Il Trastevere non è rappresentato soltanto dal vivace e colorato rione dagli scorci caratteristici che conservano memorie della più autentica romanità.

Il colle che lo sovrasta, l’antico Gianicolo, appare ameno e verdeggiante, ricco di suggestioni legate al suo passato di infinite storie e leggende. Proprio lungo il pendio sopravvive un piccolo gioiello, memoria preziosa di un tempo in cui la zona sottostante della Lungara vedeva la presenza di una delle più interessanti personalità del XVII secolo: originale, scandalosa, coltissima, promotrice di uno dei più importanti circoli culturali del tempo, Cristina, regina di Svezia, fu la fondatrice dell’Accademia Reale, che risiedeva a Palazzo Corsini alla Lungara.

Alla sua morte avvenuta nel 1689, i membri della sua Accademia si sentirono perduti e a tale riguardo si narra un aneddoto che è considerato l’atto di nascita della nuova Accademia detta degli Arcadi.

In una sera d’estate del 1689, quattordici illustri eruditi si raccolsero in un campo presso Castel Sant’Angelo: si erano incontrati per discutere di scienza e letteratura ma erano anche in lutto per la morte di Cristina, evento che aveva visto l’interruzione dell’attività della sua Accademia che riuniva le migliori menti del tempo, ora orfane della loro Musa, fulcro della vita intellettuale di Roma.

Ma torniamo a quella sera: erano seduti a terra ed uno di essi, Agostino Maria Taja, fece questa dichiarazione: “Sembra che oggi qui abbiano restaurato l’Arcadia”.

Questa frase portò, quella sera stessa, alla fondazione della nuova accademia: l’Accademia dell’Arcadia.

Il 5 ottobre (data di nascita di Cristina) del 1690 i quattordici fondatori, guidati da Giovanni Maria Crescimbeni, Custode dell’Accademia fino al 1728, istituirono formalmente la prima “Ragunanza degli Arcadi” in un giardino prestato loro dai Padri del vicino complesso di san Pietro in Montorio. Era nata la nuova Accademia che nel nome di Arcadia si prefiggeva un ritorno alla poesia classica, alla Natura, al mondo semplice e spontaneo degli antichi pastori dell’Arcadia, antica terra di Grecia, in contrapposizione agli eccessi ampollosi e ridondanti del Barocco.

Questo importante sodalizio restò per circa 35 anni senza una sede fissa per le sue adunanze, godendo dell’ospitalità offertagli di volta in volta da illustri personaggi che appoggiavano le iniziative culturali degli Arcadi. Ma tutto cambiò nel 1725 quando il re del Portogallo, Giovanni V, entrato in Arcadia egli stesso al posto di Clemente XI Albani defunto, elargì 4.000 scudi per la costruzione della loro sede, ossia del Bosco Parrasio.

Il luogo prescelto fu il pendio del Gianicolo, sito che aveva le caratteristiche giuste poiché era immerso nel verde e soprattutto permetteva di realizzare un complesso ascendente per chi saliva al bosco Parrasio: aveva insomma le caratteristiche che avrebbero permesso all’architetto di riprodurre simbolicamente i luoghi dell’antica regione dell’Arcadia, ricordata anche da Omero.

Il progetto fu affidato ad Antonio Canevari, architetto membro dell’Accademia che era chiamato tra i sodali Elbasco Agroterico, infatti era uso che i membri del sodalizio una volta entrati adottassero un nome diverso che facesse dimenticare il loro stato nella società. Il primo nome veniva dato per estrazione mentre il secondo veniva scelto dal neofita.

Antonio Canevari realizzò un progetto molto interessante, coadiuvato dal suo allievo ventottenne, Nicola Salvi, architetto che tutti ricordiamo per la realizzazione della Fontana di Trevi. Il Salvi, anch’esso arcade, era chiamato Lindreno Issuntino.

Il progetto, oggi conservato presso l’Accademia di san Luca, non fu realizzato completamente perché si esaurirono i fondi messi a disposizione. Tuttavia è estremamente interessante nella sua forma poiché l’Accademia in 35 anni di attività aveva avuto il tempo di sperimentare le sue manifestazioni e di elaborare uno spazio simbolico ben definito da allegorie e forme che assurgevano a contesto originario, immaginato e tradotto dall’architettura:

innanzitutto il giardino allusivo al mitico bosco Parrasio in altura, quindi un luogo al coperto per le adunanze invernali e che servisse anche come archivio che gli Arcadi chiamavano Serbatoio, ed infine lo spazio per le declamazioni all’aperto, sorta di anfiteatro dotato di gradinate e leggio.

Questa strutturazione dello spazio si andò configurando nel progetto del Canevari come un luogo teatrale anche se la teatralità non era un aspetto fondante delle attività dell’Accademia: declamare versi non necessitava di uno spazio scenico e quindi non si evidenziava quel rapporto attore-spettatore che si attiva in uno spazio propriamente teatrale: infatti, durante le adunanze, nei due ruoli potevano scambiarsi i “pastori” astanti. Inoltre la struttura ad anfiteatro non prevedeva la scena ma anzi diminuiva la distanza fra il declamante e l’auditorio.

Ma vediamo nel dettaglio il suggestivo progetto. Dall’ingresso posizionato ad est si ascendeva attraverso tre livelli alla sommità del Bosco, ad ovest. Vi si accedeva da via delle Fornaci, oggi via Garibaldi, da uno slargo dove era agevole giungere con le carrozze. L’ingresso nel progetto mostra due corpi di fabbrica simmetrici (mai realizzati) a due piani decorati da un ordine gigante di paraste, tra i quali si apre l’ingresso ad esedra sui cui architravi erano previste delle statue mollemente adagiate di Mercurio e di Minerva nonché di Pan e Siringa. All’interno due rampe curvilinee contrapposte contenevano un giardino dove era prevista la collocazione delle statue di due fiumi, il Tevere e l’Arno, simboli della poesia latina e toscana. Dalle rampe si giungeva alla prima terrazza, il cui parapetto prevedeva la statua di Apollo con gli attributi della cetra e della corona di alloro, propri dell’attività poetica.

Altre due rampe contrapposte abbracciavano una grotta ninfea dove era collocata la scultura rappresentante il fiume Alfeo, fiume dell’Arcadia che il mito vuole innamorato della ninfa Aretusa la quale gli sfuggì fino a nascondersi in Sicilia, ma Alfeo pur di seguire la sua amata scorrerà con le sue acque sottoterra per raggiungerla. Alfeo rappresenta qui la Poesia Greca.

Queste rampe raggiungevano la seconda terrazza, ossia il livello dell’anfiteatro dove vi erano due archi di sedili curvilinei per gli astanti, raccordati dai sedili per i cardinali e dalla parte opposta quelli per i “pastori” che erano lì per declamare.

Quest’ultimo livello era coronato da una grande esedra che riprendeva alcuni motivi delle paraste già presenti nel prospetto di ingresso, a voler concludere un discorso stilisticamente iniziato proprio da lì. Coronava tale esedra la scultura di Pegaso impennato, dal forte effetto scenografico.

Questo pregevole progetto non vide la sua totale realizzazione perché di quei 4.000 scudi solo 3.000 servirono per acquistare il terreno e non sarebbero bastati neanche per le 11 statue previste nei disegni!  Ma forse Canevari e Salvi ne approfittarono per studiare le soluzioni che Francesco De Sanctis aveva contemporaneamente sperimentato nella scenografica scalinata di Trinità de’ Monti.

Tuttavia il Canevari non disdegnava gli insegnamenti di Michelangelo come di Bernini e Borromini.

Il declino del Bosco avvenne verso la fine del Settecento e fu riaperto solo nel 1839 dopo un restauro dell’architetto Giovanni Azzurri che portò al rifacimento del “Serbatoio” nell’anfiteatro in forme neoclassiche. Dopo le vicende belliche del 1849 che videro il Gianicolo gravemente danneggiato dagli scontri contro i Francesi durante la Repubblica Romana, il Bosco Parrasio fu riaperto nel 1878.

Oggi il Bosco Parrasio è un luogo affascinante, immerso in una rigogliosa vegetazione che evoca il suo periodo di massimo splendore, quando illustri letterati e famosi musicisti lo animavano.

Tuttavia resta nella nostra immaginazione il progetto incompiuto di un giardino dove natura e architettura trovavano il loro perfetto connubio metaforizzando sul piano del simbolo l’antica memoria dell’Arcadia.

 

 

Di Adelaide Sicuro

Illustrato da Enton Nazeraj

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