QUARTIERI DI ROMA

Il Lago della Snia | Prenestino

 

Una mattina d’aprile verso le sei, a due passi da largo Preneste, un gruppo di operai che stava scavando un nuovo scintillante parcheggio sotterraneo, abbassando gli occhi per controllare lo stato dei lavori, vide l’enorme buca che avevano scavato, quasi interamente occupata da un’acqua di un azzurro accecante, che se ne stava lì, al posto del parcheggio, immobile, a pochi metri sotto il livello dei loro piedi. Ci fu qualche: – Oh, – qualche: – Ah, – poi si udì un grido: – Anvedi un lago!”.

Raccontato così quest’incredibile accaduto sembra quasi una favola, una di quelle storielle paradossali che tanto piaceva raccontare a Gianni Rodari, di cui, con un po’ di impertinenza, abbiamo rubato alcune frasi per immaginarci il nostro esordio. Il furto di parole, prese da quel piccolo capolavoro che è La torta in cielo, è giustificato dalla straordinarietà di una vicenda che, siamo sicuri, lo stesso scrittore di Omegna avrebbe adorato alla follia. Come si può far credere, infatti, che di punto in bianco, in un giorno feriale del 1992, da un cantiere edilizio nel cuore di Roma Est, è apparso dal nulla un lago?

Quel punto preciso, tra la Prenestina e via di Portonaccio, ha sempre rivestito un significato quasi mistico per ogni abitante del luogo. Forse per le impronte di tempi ancestrali, ricordi sbiaditi delle ninfe gioiose delle acque bullicanti (di cui la vicina via omonima è testimonianza e monito), forse per le lacrime mariane di gratitudine, incastonate in un muro non troppo diverso da quello che persino Gregory Peck e Audrey Hepburn, in sella a una piccola vespa, sono corsi ad ammirare nelle loro vacanze romane, sta di fatto che la zona ha sempre nascosto un fascino segreto che attrae e stupisce chiunque ci si imbatta.

Ci piace credere che è proprio quest’aura magica (o meglio dire, nonostante questa) sia stato il motivo principale che ha spinto, nel 1922, la Cisa Viscosa a costruire qui una delle fabbriche tessili più avveniristiche e avanzate dell’epoca. Sin dalla sua inaugurazione l’opificio è stato uno dei centri totalizzanti della vita del circondario. Fiore all’occhiello dell’economia cittadina della capitale del Regime, la Cisa ha attraversato molte grandi pagine della Storia. Dalla grande immigrazione interna degli anni Venti alla guerra in Etiopia (la produzione fu riconvertita per fornire divise all’esercito italiano) fino ai bombardamenti alleati del 1943, la fabbrica diviene un nome noto alle cronache.

Le operaie – la fabbrica è principalmente di manovalanza femminile – che la popolano, hanno un rapporto d’amore e d’odio verso una struttura che è casa e prigione, dove si lavora, si passa il tempo libero nei corsi organizzati dalla direzione, si vive nei dormitori e si vede i propri figli più piccoli crescere negli asili nidi organizzati apposta. La Cisa Viscosa, in poco più di trent’anni di vita, è una città nella Città, eccezionalità edilizia tra rigidi quartieri e borgate disordinate, motore pulsante destinato a non fermarsi mai.

Nel 1954 però accade l’impensabile. La fabbrica chiude e il fiore all’occhiello della presunta grande azione fascista declina presto verso l’abbandono, il degrado, il nulla. Il pachidermico scheletro, resto preistorico di un mondo scomparso, rinominato nel frattempo Snia Viscosa (un nome che ancora oggi è parte integrante della geografia del quartiere e di Roma) passa di mano in mano, sempre più nudo e spettrale.

Accovacciato sulle pendici della Prenestina, per decenni l’ex opificio guarda con i mille occhi vuoti di finestre distrutte, la rinascita di una via che, con gli anni, ha riacquistato il suo status di arteria vitale. La Snia Viscosa nel dopoguerra declina nel resto putrefatto di un titano orrendo, un fantasma del natale passato, sempre pronto a ricordare i sogni (e gli incubi) di un passato non troppo lontano.

La storia della Snia, fino agli anni Novanta, diventa un susseguirsi di notai, tribunali e decreti ministeriali, con passaggi di mano e tentativi (leciti o meno) di capitalizzare il tutto. Nel 1990 la Snia trova, infatti, l’ennesimo padrone che decide di puntare sull’ennesimo progetto, convinto che il cemento sia la soluzione salvifica. La Snia Viscosa diventerà un supermercato, di quelli dove le famiglie passano le giornate alienandosi dal resto, con tanto di parcheggio sotterraneo multipiano dove lasciare comodamente le proprie utilitarie prese a rate!

Nonostante le remore di molti cittadini, la strada sembra ormai intrapresa, il destino segnato. I proprietari però si imbattono in un qualcosa di straordinario, uno di quegli scherzi a cui ci ha abituato un quartiere sempre pronto al tiro mancino, allo sfottò gagliardo contro le autorità. Ecco, all’improvviso, il miracolo dell’acqua. Facendo fede a quel nome bullicante, antico patronimico della zona – e anche per l’arrogante ignoranza della natura idrogeologica del terreno – i lavori del cantiere si imbattono in una fonte sorgiva, aprendo una falda acquifera.

In un attimo il piccolo zampillo cresce e diventa inarrestabile. Il passo per trovarsi davanti uno specchio d’acqua, enorme e magnifico, è fatto. “Dove doveva sorgere un centro commerciale ora c’è un lago”. È impensabile ritrovare una frase del genere riferita per qualsiasi altro posto del mondo, nella Storia. I tentativi dei proprietari del terreno per far sparire tutto sono ostinati e altrettanto vani. Si arriva addirittura ad allagare Largo Preneste pur di far sparire l’acqua. Puoi mica uccidere un lago costringendolo dentro una fogna, sotterrandolo sotto la terra? Entusiasti dal rumore di queste acque neo-nate la cittadinanza si alza, urla, controlla. Il lago ora c’è e deve restare. I padroni della Snia, però, sventolano le carte, vogliono salvaguardare il loro investimento. Che fare?

Da qui in poi, la storia della Snia diventa un racconto di lotta, favola partigiana, raccogliendo eredità spirituali che sono parte delle mitologie “guerriere” delle tantissime battaglie resistenziali combattute in zona.

La cittadinanza, forte del proprio desiderio, infatti, si muove subito per riprendersi il lago e i terreni, per trasformarli in qualcosa di aperto, partecipato. Nonostante l’insistenza dei proprietari privati e il debole coinvolgimento delle istituzioni, cittadini e comitati di quartiere lottano senza sosta per consegnare alla città l’idea di parco come non si è visto mai a Roma.

La via è stata accidentata e piena di colpi. I tentativi di inserire la Snia Viscosa all’interno di vari progetti di presunta riqualificazione urbana (tentativi squinternati di spostare alcune facoltà della Sapienza negli ambienti industriali, l’ombra delle strutture per i Mondiali di nuoto del 2010, progetto ancora oggi circondato da triste fama nei ricordi dei romani…) si sono rivelati fallimentari e pretestuosi ma chiaramente mossi da un unico scopo: impedire il percorso intrapreso da una scelta consapevole e cittadina. Il lago che (R)esiste è testimonianza diretta di una battaglia che, in una città dove la politica “ufficiale” è ai minimi storici e ogni tentativo dal basso è guardato con sospetto dalle istituzioni, si impegna davvero per il bene della propria vita comune, per trasformare il proprio quartiere in una comunità le cui bellezze tutti possono goderne.

Ogni anno il comitato di quartiere e i cittadini che si occupano di custodire e conservare il Lago organizzano una festa dove chiunque è invitato a dare uno sguardo. Entrare in quella piccola foresta è un’esperienza catartica, un viaggio dal tossico quotidiano verso un giardino segreto alla romana. I segni del disfacimento, impalcature e cantieri interrotti che ancora popolano il parco, sembrano provenire da scenari apocalittici, inquietanti presenze. Più che incubi che ci scaraventano nella realtà questi sono oggetti di sfondo, terribili nella loro tristezza ma finalmente armonici in un quadro, ancora una volta favolistico. La conferma che questa città un’anima verde, coraggiosa, divertita, armonica l’ha sempre avuta, e che, oggi come ieri, vale la pena combattere per essa.

 

 

Di Luca Marchetti

Illustrato da Nicoletta Guerrieri