I Colossei
In questo articolo, nato da un’idea di Gianluca Vignola che scrive qui accanto, ripensiamo attraverso il cinema quattro celebri costruzioni romane, scenografie di moltissime storie.
Nella mia parte vorrei compiere un viaggio sconnesso fra il Colosseo e il Palazzo della Civiltà Italiana, soprannominato Colosseo Quadrato.
Come tutti sapranno, non è un caso che le due costruzioni si somiglino, perché Benito Mussolini fece costruire il suo “nuovo Colosseo” con l’idea di creare un collegamento fra la Roma imperiale e quella fascista. Continuando dunque con i collegamenti, io ne vorrei compiere di più liberi; raccordi campati in aria e funi lanciate verso differenti ganci simbolici. Tracciare traiettorie non tracciabili e ricercare, anche laddove non ci sono, i nostri Colossei, simboli e testimoni di dittature e battaglie contro di esse.
Il Colosseo, conosciuto anche come Amphitheatrum Flavium, è costituito da 80 arcate ed è ad oggi il più grande anfiteatro del mondo. Il Palazzo della Civiltà Italiana dal canto suo, ne ha 216 di archi, 54 per facciata.
Costruito per l’Esposizione Universale del 1942, venne inaugurato ancora incompleto nel 1941. Di “colossei quadrati” ad esempio, ne è gremita la Metropolis di Fritz Lang. Grattaceli grigi sotto i quali, giorno dopo giorno, gli operai subiscono la dittatura del ricco imprenditore Joh Fredersen. Dal Colosseo tondo invece, ci si vuole buttare Nando Moriconi, giovanotto di Trastevere che si sente americano.
Massimo Decimo Meridio ci ha combattuto la sua ultima battaglia e in un’arena simile ma lontana lontana, Obi-Wan, Anakin e Padmé si battono contro il nascente dispotismo dell’Impero. In Roma Città Aperta il Colosseo Quadrato guarda ad una collina distante, dove i partigiani si preparano ad assaltare le camionette dei tedeschi. Qualche anno fa, tornando al maestoso anfiteatro Flavio, ci è salito sopra Enzo Cecchotti (o meglio Jeeg Robot) per vegliare su Roma. Perché senza la sua città, qualsiasi super eroe che si batta contro le ingiustizie, non è degno di esser definito tale.
E ancora, il Colosseo è nell’Urlo di Chen terrorizza l’Occidente, l’azzurro del cielo ne riempie gli archi… Se ci guardiamo attraverso scorgiamo Bruce Lee e Chuck Norris battersi fino all’ultimo sangue, con un gattino come unico spettatore. Saltiamo schizofrenici dal Kung Fu ad un episodio del film Boccaccio 70: Le tentazioni del dottor Antonio, di Federico Fellini. Peppino De Filippo è inseguito da Anita Eckberg, ancor più mastodontica di quanto non lo sia stata nella realtà. Sovrasta il Colosseo Quadrato, dittatrice nei pensieri del povero Peppino che è a sua volta tiranno di se stesso, censore di desideri. Ecco improvvisa appare la locandina di Crash di David Cronenberg: una donna altissima e biondissima sovrasta il traffico di spalle, sotto di lei una luminosa metropoli.
Contesti urbani, uomini e macchine, uomini e congegni, uomini e strutture e sovrastrutture. Desideri liberi, punti di disinibizioni.
Ma torniamo ad un’altra arena, quella dove Thor, sotto la tirannia del Gran Maestro, combatte con un incontenibile Hulk. Non ci sono arcate, ma di archi ne abbiamo quanti ne vogliamo, basta cercare. C’è quello dorato che accoglie Dani nel villaggio dei dannati in Midsommar o quelli della torre alta di Vertigo, che tanto terrorizza James Stewart.
Archi spaventosi, crudeli… anche per entrare nel palazzo annerito della sua nuova casa, Rosemary deve passare sotto un grande arco, dentro al quale si cela un satanico dispotismo.
Il Colosseo Quadrato invece non fu mai casa di alcuna Esposizione.
Dapprima accampamento per le truppe tedesche, lo divenne poi per quelle alleate e infine rifugio per gli sfollati nel dopoguerra. In quello tondo invece ci ha vissuto il Geppa di Sotto il sole di Roma e per un periodo anche Totò in Totò Cerca Casa. Chiudendo questo articolo (potenzialmente infinito) c’è Cesare protagonista de I giorni contati di Elio Petri. Lo stagnaro romano riflette sullo scorrere impietoso del tempo e sull’urgenza di vivere una vita piena e dignitosa… È buio mentre cammina sotto quegli archi tondi, testimoni silenti di migliaia di notti romane.
Il set più costoso del mondo
In un numero dedicato all’architettura era doveroso raccontare una suggestione: Roma è il set più costoso del mondo. La storia del cinema, sin dalle origini, si è sempre contrapposta tra due scelte non da poco. Da un lato c’era chi sosteneva la necessità di ricostruire le ambientazioni in studio, in modo da poter ridurre al minimo gli imprevisti durante le riprese, dall’altro chi invece sosteneva la necessità di raccontare storie filmate in spazi e contesti reali.
Di questo zavattiniano pedinamento del personaggio, a partire dal Secondo Dopoguerra, Roma si fece megafono indiscusso.
Il mercato di Piazza Vittorio dove Antonio Ricci andava a cercare la bicicletta di cui era appena stato derubato in Ladri di biciclette, il Ponte Sant’Angelo da cui l’Accattone si tuffa nel Tevere «co’ tutto l’oro addosso, come i faraoni» erano posti veri, fatti di mattoni, cemento, travertino.
È una monumentalità difficilmente riproducibile, quella dell’Urbe. La città è percorsa da una magniloquenza che arricchisce ogni pellicola, ma che, al contempo, porta le maestranze cinematografiche a doversi confrontare con l’imponenza di strutture costruite per usi differenti dal semplice abbellimento scenico.
Il nostro è un cinema fatto di acquedotti romani, cupole, piazze storiche. Ma anche di edifici finiti in rovina. E se — per dirla con le parole del collettivo Alterazioni Video, che da anni si batte per ridare dignità alle opere non finite in giro per l’Italia —, «l’incompiuto è un tratto culturale», a Roma la relazione che c’è tra non finito / finito a metà / finito ma abusivo e la comunità circostante ha del beckettiano.
Non è un caso, allora, se in questa puntata di questa rubrica di cinema si è scelto di raccontare l’architettura nel cinema prendendo come punto di riferimento quattro monumenti in particolare, appartenenti a quattro epoche diverse e quindi a quattro differenti modi di concepire la città.
Nell’articolo precedente si è parlato del Colosseo e del Palazzo della Civiltà Italiana. In questo, invece, ci avviciniamo al tempo presente raccontando i film intorno al Gazometro e alla Vela di Calatrava.
Succede che, per celebrare i 150 anni di Roma Capitale, la casa editrice Iperborea abbia pubblicato un nuovo volume della collana The Passenger interamente dedicato alla città. E succede anche che il primo saggio all’interno della miscellanea sia sull’abusivismo edilizio e la spesso carente visione strategica nel riscrivere il tessuto urbano secondo le nuove esigenze della metropoli.
Nel saggio viene citata la Vela progettata da Santiago Calatrava in occasione dei Mondiali di nuoto del 2009 e mai terminata. Al momento dell’appalto il costo stimato per la realizzazione era di circa 60 milioni di euro e, nonostante alla fine ne siano stati spesi più di 240, l’impianto continua a riscrivere lo skyline di Roma sud senza avere una destinazione d’uso definitiva.
A ridare dignità al progetto ci ha pensato Netflix, che spesso ha sfruttato i piloni della Vela come ambientazione di Suburra – La serie.
E ancor più curioso è invece il caso del film Six Underground, in cui l’ormai ex piscina olimpica diventa la punta di un grattacielo da cui i protagonisti si tuffano senza colpo ferire.
Roma è il set più costoso del mondo ed i film ambientati al Gazometro ce lo confermano. Il quartiere Ostiense negli anni è diventato un posto in, nonostante i lavori per riqualificare l’ex polo industriale della città siano stati minimi.
Il Gazometro continua ad essere lì come negli anni ‘70, quando ancora era in funzione. Intorno a lui, negli ultimi tempi Ozpetek ha girato le Le fate ignoranti e Tommaso Agnese Mi chiamo Maya.
Negli anni ‘60 invece di film che riprendono la struttura ce ne sono pochi e al Gazometro si preferiva la stazione Ostiense. In Risate di gioia di Monicelli, Anna Magnani e Totò prendono per la prima volta la metropolitana proprio da quelle parti: due personaggi di un tempo che fu salivano baldanzosi su un treno diretto verso il futuro. Quando potremo davvero permetterci di vedere un remake adeguato di quella scena?
Scrivi un commento