RACCONTI

1. IO MI SONO INNAMORATO

Io mi sono innamorato il 7 novembre 2014 alle ore 15.20 di una che si è innamorata di me il 18 dicembre dello stesso anno subito dopo il tramonto. Il suo amore per me è durato sette mesi e mezzo, mentre il mio amore per lei è durato dieci mesi e nove giorni. La ragazza si è poi innamorata di un certo Alfonso Botta il 15 agosto del 2016 subito dopo il tramonto. Botta invece non si è mai innamorato di lei. I due si sono frequentati per 24 giorni. Una mattina lui, anche se non era vero, ha detto alla ragazza che si era innamorato di lei. La sua voce era così stonata che lei proprio in quel momento ha smesso di amarlo. Io negli anni poi mi sono innamorato altre due volte per un totale di 239 giorni, 14 ore e 7 minuti.

 

2. TENNIS

Io anni fa sono stato con una ragazza che aveva un padre che girava con una spider rossa.
Una volta mi chiese di farci una partita a tennis e mi batté 6-2, 6-1, 6-0 davanti alla figlia.
Ricordo bene come lei mi guardò e come guardò suo padre.
Pochi giorni dopo mi lasciò per mettersi con un certo Alfonso Botta.
Io andai alla sua scuola per cercare di parlarle, vidi che stava con un ragazzo con i capelli verdi e corsi via.
Qualche mese dopo mi capitò di fare l’esame per la patente proprio vicino a casa sua e mi trovai di fronte il padre che passava sulle strisce pedonali.
Mi sembrò altissimo, quasi irraggiungibile.
Quella sera chiamai la ragazza per dirle che avevo preso la patente.
“Mio padre mi ha regalato il motorino” disse, prima di stare zitta per qualche infinito secondo.

 

3. BOMBA

Anni fa stavo con una ragazza che aveva un gatto gigantesco che si chiamava Bomba.
Questa ragazza un giorno d’estate subito dopo il tramonto mi disse che doveva andare a trovare la nonna che viveva sulla costa e che stava molto male.
Io mi sarei dovuto occupare di Bomba durante la sua assenza.
“Non ci sono problemi” dissi, mentre l’abbracciavo prima di vederla salire sul treno.
Forse aggiunsi anche “Ti amo”, ma non credo.
Passai le ore, i giorni, le settimane seguenti con Bomba, che mi sembrava sempre più grande.
Quando dicevo alla mia ragazza che Bomba stava crescendo sempre più, lei rispondeva ridacchiando: “Prima o poi esploderà”.
“E tua nonna come sta?”.
“Sempre peggio.”
Le chiedevo di passarmela, ma ogni volta diceva che stava troppo male per parlare al telefono.
Una volta c’era la musica altissima.
Una volta si sentivano risate lontane.
Una volta si sentivano risate vicine.
Una volta mi sembrò di sentire la voce di Alfonso Botta, un suo ex che ogni tanto si faceva vivo con lei.
Una volta mi passò la nonna, ma a me sembrò la voce di Alfonso Botta che mi prendeva in giro.
Quella notte mi addormentai sul divano accanto a Bomba e sognai di esplodere in aria insieme a lui.
Qualche giorno dopo, Alfonso Botta passò a casa mia a dirmi che era venuto a prendersi il gatto.

 

4. VIA DEGLI ASFODELI 77

Quando ero ragazzo andavo al mare a Santa Marinella o a Santa Severa o forse era Ladispoli. Purtroppo i miei ricordi sono piuttosto confusi perché anni fa ho avuto un brutto incidente. Ogni tanto chiamo i miei per sapere qualche dettaglio, ma sono sicuro che dicono solo bugie.
In ogni caso non è di questo che voglio parlare.
Ricordo che in questo posto di mare c’era un bel sole, io portavo i capelli lunghi e andavo sempre in bicicletta.
Frequentavo la comitiva del Quarto Pino dove c’era un ragazzo che si chiamava Loris. In realtà non ricordo il suo nome, ma un giorno al telefono mio padre mi ha detto che questo mio amico del mare si chiamava Marco, una volta invece lo ha chiamato Loris e un’altra Jacopo. Io ho deciso di ricordarlo come Loris.
Loris faceva parte di questa comitiva del Quarto Pino che bazzicavo anche io, che però non scendevo quasi mai dalla bici.
Un giorno mi disse che per una volta era il caso di mollare quelli del Quarto Pino e passare una serata con la comitiva della Conchiglia, perché lì era più facile combinare qualcosa con le ragazze.
Allora una sera andammo insieme al ristorante La Conchiglia Blu, dove c’era la comitiva della Conchiglia.
Io andavo in bici e Loris mi seguiva scalzo. Non l’ho mai visto una volta con le scarpe: asfalto o spiaggia per lui era lo stesso.
“Loro rimorchiano, perché lì vicino c’è un albergo dove vengono in gita le francesi. Tu hai mai rimorchiato una francese?”.
“No”.
“Non è facile.” disse Loris, ma poi aggiunse che lì alla Conchiglia si riusciva sempre a rimediare, perché i ragazzi s’incontravano con i gruppi delle francesi, andavano sulla spiaggia e poi quelle decidevano con chi farsi una passeggiata.
Qualcuno ogni tanto riusciva pure a salire in albergo.
Loris mi raccontò di un certo Alfonso Botta che era già andato in albergo tre o quattro volte sempre con ragazze diverse.
Un suo amico gli aveva detto che era stato pure con due insieme, ma lui non ci credeva.
Quando arrivammo alla Conchiglia, Loris salutò uno che conosceva e poi mi fece cenno di andare con loro.
Io ci pensai un po’ su e poi decisi di raggiungere il gruppo in spiaggia rimanendo in bicicletta.
Chiesi chi fosse Alfonso Botta e Loris mi disse che in quei giorni non c’era perché si era slogato la caviglia.
Quella sera, e pure le successive, né Loris né io riuscimmo a farci una passeggiata con le francesi che sceglievano sempre altri.
Nel frattempo alla comitiva del Quarto Pino cominciarono a guardarci di traverso e io stavo pensando di mollare pure la Conchiglia per andare in bicicletta da solo, cosa che in fin dei conti non mi dispiaceva affatto. Poi una sera una francese decise di farsi un giro con me. Quando vidi il dito che m’indicava, il cuore mi guizzò in gola e accennai a scendere dalla bici. La francese però si avvicinò e mi fece capire che dovevo rimanere in sella. Una volta arrivati sul marciapiede del lungomare, salì dietro di me, mi strinse la vita e con una voce sottile mi chiese se l’accompagnavo in via degli Asfodeli: lì, al civico 77, abitava Alfonso Botta, che aveva conosciuto la settimana prima e voleva tanto rivedere.

5. A

Un giorno di tanti anni fa m’innamorai di A, una ragazza che stava attraversando l’Italia da nord a sud, e ogni tanto mi diceva: “Io non ho una meta, tu ce l’hai?”.
Io non rispondevo quasi mai o al massimo borbottavo qualcosa.
Quando ero di fronte a lei, i pensieri mi si attorcigliavano nella testa come piccoli serpenti e non riuscivo mai a fare grandi discorsi.
Una volta, mentre passeggiavamo sul lungotevere, A mi ha detto che era venuto il momento di ripartire. Anche quella volta finì la frase dicendo: “Io non ho una meta, tu ce l’hai?”, e pure quella volta ero stato zitto, però mi ero avvicinato a lei, prima di stringerla forte e baciarla.
Il giorno dopo, A. è partita per il sud, senza dirmi una sola parola.
Passarono almeno tre settimane prima di ricevere una sua telefonata da Taranto.
Quando mi disse: “Io non ho una meta, tu ce l’hai?”, attaccai il telefono e sentii una lacrima che mi scendeva sul viso.
In tutti questi anni, e ne sono passati tanti, non l’ho mai più vista né sentita.
A volte mi è capitato di vedere una ragazza che le assomigliava e allora per un attimo ho pensato di averla di fronte.
Ma la verità è che per tutto questo tempo non l’ho più vista e non mi sono mai più innamorato.
Poi l’altro giorno mio cugino mi ha invitato a una cena sul terrazzo di Alfonso Botta, un suo amico che abita a Ostiense.
Mi ha detto che cucina bene e che dal suo terrazzo si vede la Piramide Cestia.
Quando sono arrivato, mio cugino mi ha presentato Alfonso Botta, Alfonso Botta mi ha presentato la sua fidanzata e io mi sono accorto che la sua fidanzata era proprio A. Lei non mi ha riconosciuto o forse mi ha riconosciuto e ha fatto finta di niente e io pure ho fatto finta di non riconoscerla, mentre fissavo le piccole rughe sotto ai suoi occhi; poi ho preso un piatto di fettuccine con i funghi porcini e sono uscito sul terrazzo, ho guardato la Piramide Cestia e dentro di me ho sentito riecheggiare la domanda di A: “Io non ho una meta, tu ce l’hai?”.

Di Emanuele Kraushaar

Illustrato da Francesca Murgia

Leggi anche: I piumati di Trastevere, storia e folklore