Mentre da dietro i trasteverini del Calisto, impegnati nel solito Tresette sul tavolino posto quasi al centro della piazza, gli lanciano un urlo, una battuta, “A Maurì, e fattela ‘na risata no?”, cominciamo la nostra intervista.

Qualche mese fa abbiamo pubblicato una parte di questa intervista, video, sui nostri canali social. Abbiamo sempre visto in Maurizio, il nostro sciamano, una figura tutta da scoprire. Eppure, i commenti si sono divisi: “Grande Maurizio, grandi voi”, da una parte; “A chi si può segnalare ‘sto mentecatto che va in giro con un suricato sulla spalla?”, dall’altra.

Fortunatamente lo scopo e l’essenza della nostra rivista è proprio questa: conoscersi, far parlare chiunque voglia e soprattutto chiunque abbia a cuore la comunità del rione, ormai sempre meno abitato e sempre meno vivo. Crediamo nel dialogo, crediamo che tutti abbiano diritto di parola, proprio perché senza confronto e senza conoscenza si creano i confini, le paure e l’odio.

Abbiamo posto una sola domanda, apparentemente semplice, ma in fondo molto difficile. Una domanda che, immaginiamo, chiunque sia passato di fianco a Maurizio, senza essere accecato dal disgusto verso ciò che è diverso, si sarà posto: perché? Perché vai in giro così? Perché sei così diverso dalla presunta normalità?

E poi, gli abbiamo lasciato la parola.

“Io ero un progettista, vivevo nella normalità, diciamo, ed ero anche un bel ragazzo, ai tempi. Ora ho sessant’anni. Sono sempre stato un appassionato di scienza e non ho mai amato particolarmente le materie umanistiche come la letteratura, la psicologia o la teologia. I riferimenti che mi hanno sempre affascinato erano, ad esempio, Archimede e Leonardo Da Vinci. Il primo per la sua celebre frase ‘Datemi una leva e solleverò il mondo’. Di Leonardo, invece, ne sono sempre stato innamorato. Uno scienziato come lui che diceva che se l’uomo conoscesse l’intimo interiore degli animali, qualsiasi delitto verso di loro sarebbe considerato un delitto verso l’intera umanità, per me era una grande fonte di ispirazione. Lui vedeva e sentiva l’anima degli animali.

Vedete, in germe, quello che sono ora già c’era. Poi, nella vita, mi è successo di incontrare tante persone che mi hanno educato e istruito. Ho incontrato degli sciamani, i Darvish, una sorta di monaci eremiti. Fra loro, uno in particolare ha cambiato il mio modo di vedere il mondo. Mi ha cambiato, mi ha completato.

Quando avevo cinque anni, in chiesa, c’era un bel quadro davanti al quale mi fermavo sempre che raffigurava san Giuseppe dietro al banco, Gesù bambino e la Madonna che ricamava. Una volta, mentre ero lì a fissare il quadro, passò un prete e mi disse che i quadri parlano, mandano un messaggio, sono un rebus. Il consiglio di questo prete divenne, però, il mio rebus. Mi chiedevo continuamente come lo potessi sciogliere, come potessi arrivare a comprendere ‘Il Messaggio’. Spesso sentivo di esserci quasi, ma poi, puntualmente, mancava qualcosa.

Diciassette anni fa ho incontrato questo sciamano che ha completato il mio rebus. Lui, come tutti gli altri, era una persona semplice e umile. Una delle cose che mi ha colpito degli sciamani è che sono i più poveri del villaggio, non come nelle altre religioni. Eppure, agli sciamani non manca nulla, hanno tutti i loro monili d’argento e d’oro che servono per i riti ma non possiedono altro. Comunque sia, io e lui siamo stati in giro insieme per circa due mesi. Un giorno, mi ha chiesto se fossi disposto a chiudere gli occhi e io, senza pensarci tanto, ho risposto di sì. Mi ha bendato e abbiamo camminato per circa sei giorni. Lui mi guidava ad ogni passo finché non siamo arrivati in un villaggio. Lì, grazie a lui, ho scoperto l’isola del tesoro. In questo villaggio si può dire che fossero tutti ricchi. Non c’era tristezza, non c’era disoccupazione, non c’era povertà. Inizialmente ero piuttosto stordito ma poi sono riuscito a lasciarmi andare. Si tratta di un luogo molto lontano da qui, non so neanche dove sia esattamente perché al ritorno mi ha bendato nuovamente. Posso dirvi che è in Oriente.

Quella visita al villaggio e quei mesi passati con questo sciamano più giovane di me hanno significato molto, hanno risolto il mio rebus: ho capito che si poteva fare, che si poteva vivere come loro. Senza nulla, ma con tutto.

Il paragone con la vita che si fa da queste parti, in quasi tutto il mondo a dire il vero, è impietoso. Vi faccio un esempio. Prendete le forze dell’ordine. Questi uomini e donne vivono con il timore, incontrano brutta gente, sono armati e non prendono neanche un granché. Nel villaggio invece, molto semplicemente, non c’era un’arma, le tende non avevano la chiave. Le donne, altro esempio, non hanno bisogno di quote rosa come qua, hanno anzi un ruolo importantissimo.

Si dice che chi trova un amico trova un tesoro. Ecco, nel villaggio, sono tutti amici. È bellissimo. A nessuno interessa avere qualcosa in più dell’altro. Noi, invece, siamo stati sporcati e gli indizi sono ovunque: come è possibile che trattiamo così la nostra Terra? Io, di plastica, non ne uso. Credo che sia importante tenere pulito l’ambiente, come questa città, che andrebbe rispettata e amata molto di più. Siamo stati sporcati. Anche io sono stato sporcato. Ma da quando sono stato nel villaggio ho capito che possiamo cambiare il mondo e dobbiamo spingere tutto il pianeta a farlo. L’isola del tesoro si può fare, io l’ho vista e, in fondo, basterebbero l’educazione e il rispetto. Dobbiamo iniziare ad amare il nostro pianeta, la nostra casa e i nostri vicini. Non è mors tua vita mea ma vita tua vita mea. Felicità tua, felicità mia. Questo ho imparato.

Dopo nove giorni, sono ripartito accompagnato dal mio amico e mentore. Il villaggio di sciamani mi aveva assegnato un compito: restare in silenzio fino al giorno in cui il mondo non si fermerà. Capirai, per me il compito era facilissimo. Sono sempre stato molto silenzioso, anche perché avevo problemi di balbuzie che finalmente, invecchiando, sono molto migliorati. Io ho adempito al mio compito. Se voi, a ottobre 2019, mi aveste chiesto qualcosa vi avrei evitati. Non avrei detto nulla. Poi, un giorno di ottobre 2019, più o meno, ho sentito la parola lockdown e ho capito che dovevo ricominciare a parlare. Ho capito che se dei ragazzi come voi mi avessero chiesto qualcosa avrei dovuto rispondere.

La spiritualità, per me, è tutto. Credo in cose semplici. Ad esempio, sono convinto che il futuro lo possa vedere chiunque. È davvero molto più semplice di quello che si creda: basta guardare un bambino. Io, guardando voi, vedo il futuro. Ma dirvi come sarà, è totalmente inutile. Ci arriverete: l’importante è mettere sempre tutto in discussione, non farsi fare il lavaggio del cervello e, soprattutto, non farsi sporcare il cuore.

Il mio look, lo so, crea sempre scalpore. Fra tutti questi amuleti che porto con me ho un sacro cuore, una croce, le svastiche induiste, ho simboli di ogni religione. Ho conosciuto esponenti di quasi tutte le religioni e fra loro ci sono tante bravissime persone. Allo stesso tempo, però, vedo tante contraddizioni e questo mi ha allontanato dalle religioni intese in senso istituzionale o che funzionano da correnti politiche. Ciò che non concepisco, ad esempio, sono i credenti che fanno la corsa a diventare ricchi.

Credo nel bene e nel male, nel dio e nel diavolo, questo sì, e credo nelle persone buone. Gesù disse che è più facile che un cammello entri nella cruna di un ago piuttosto che un ricco nel regno dei cieli. O credi nella ricchezza o credi in dio. Non significa, poi, che bisogna star male, ma che si può cercare il giusto.

Una volta ho sentito dire da un milionario che quando sarà morto darà tutto in beneficienza. Ma scusa, dico io, gustati dei sorrisi, fallo prima di morire. Aiuta. Aiuta un ragazzo ad aprire un’attività, delle famiglie a trovare una casa. Aiuta i bambini che muoiono di fame, dico io, e siine felice. Che paura hai?

Per quanto riguarda il resto del mio look, è molto semplice, si ricollega tutto al pianeta che ci ospita.

La vista è il nostro senso più attivo, l’occhio è il primo a relazionarsi con l’esterno. Io, con questo abbigliamento, sto mostrando il male che la natura ha già sopportato. Questo è pellame vecchio e inutilizzato. Il mondo è pieno di materiale inutilizzato. Anche questi gioielli che mi vedete addosso sono tutte cose trovate che, con i miei amici, ho rimontato e trasformato. Basta miniere, basta produrre. Credere che più si consuma e meglio si sta è un errore madornale. Volere e dover consumare per essere felici è una fandonia. La felicità è un’altra cosa, è stare bene. La felicità, per me, è la libertà”.

Di Saverio Cambiotti e Andrea Cori

Illustrato da Elisa Lipizzi