Esplosione trasteverina della Lovegang

 

La scalea del Tamburino si trova alla fine di viale Glorioso e collega la Trastevere bassa alla Trastevere alta, o Monteverde vecchio che dir si voglia. Da anni è al centro del dibattito trasteverino per questioni legate alla movida (che ora i politici più moderati suddividono in buona e cattiva movida, e quella della scalea si annovera nella cattiva), al decoro, al degrado e, più in generale, al rispetto delle classiche norme di cosiddetta civiltà. Un termine che ha poche fondamenta e si presta ad essere utilizzato, in genere, per sostenere le proprie ragioni con maggior facilità. È più civile, ad esempio, prendere e spostare i senza tetto per non vederli più d’intralcio tra le nostre vie oppure condividere con loro gli spazi e le strade? È più civile fare battaglie per vietare l’alcol dopo una certa ora della sera o rimboccarsi le maniche per andare a scoprire quali siano i fattori psicologici e sociali che portano mandrie di ragazzi ad affollarsi e a distruggersi il cervello a suon di droghe e alcol?

La scalea prende il nome da Domenico Subiaco, un giovane ciociaro che, appena sedicenne, volle essere tra i difensori attivi della Repubblica Romana. A causa della sua statura non gli venne affidato un fucile ma un tamburo con il quale avrebbe dovuto suonare la carica contro l’invasore francese. Era il 3 ottobre del 1849 quando Domenico venne colpito da una pallottola in piena fronte e cadde a terra morto, dopo aver lasciato il suo tamburo, imbracciato il fucile di un compagno caduto ed essersi avventato sparando dieci colpi al grido di “Viva l’Italia! Viva Roma!”.

Da questa gloriosa nascita, la scalea è invece oggi, come dicevamo, il terreno fertile per un’altra battaglia: quella tra i residenti che non ne possono più, che non riescono a dormire e i cui bambini piccoli non trovano la pace per riposare, e le centinaia di ragazzi che l’hanno scelta come punto di ritrovo, come luogo della comitiva e dello sfogo serale.

“Il volume da solo, fosse anche questi ragazzi sussurrassero, sarebbe assordante, perché nelle serate di pienone, quello che rende pressoché ogni altra attività superflua è proprio il volume del vocio indistinto. I ragazzi più agitati hanno varato un ampio campionario di attività ludiche: il lancio della bottiglia da 66, la demolizione sistematica del travertino dei gradoni, di bici e monopattini. Alcuni dei quali vengono fatti precipitare dalla scalea con e senza passeggeri sopra. Può far sorridere. Ma chi di noi ha figli piccoli che si svegliano a mezzanotte perché 1000 persone urlano una bestemmia a squarciagola, o chi ha trovato la propria macchina distrutta a calci e sassate, o chi ha dovuto assistere ad episodi di spaccio sotto casa, chi ha rinunciato a dormire da marzo a settembre, ecco quelle persone non ridono più. Io sono tra questi”, così raccontava un residente su un articolo scritto per il Ventriloco nel gennaio 2021. La situazione è, senza dubbio, di difficile gestione. Tanto più se, come spesso purtroppo accade, le istituzioni e le amministrazioni non prendono una posizione super partes, modo migliore per comprendere le situazioni, ma si lasciano andare, probabilmente per scopi elettorali, al gioco binario di decoro e degrado. Questi ragazzini sono indecorosi? Questi ragazzini sono la causa del degrado?

È mia personale opinione che questi ragazzini “ubriachi e molesti” siano più che altro sintomo di un degrado indecoroso ben più diffuso. Sono il sintomo del fatto che questa città non offre speranze, a Roma non c’è lavoro, le scuole e le università sono incapaci di prendersi cura dei propri figli; sono il sintomo del fatto che Roma, Trastevere in primis, sono alla mercè di investitori che credono soltanto nel profitto e non nella cura del territorio che li ospita; del fatto che i centri storici sono svuotati dei residenti. Questi ragazzini vivono un forte disagio e questo sarebbe il punto fondamentale da risolvere. La guerra tra residente che non può dormire e ragazzino sempre alla ricerca di valvole di sfogo è, metaforicamente, una guerra tra poveri. E le guerre tra poveri le vincono, si sa, i ricchi.

D’altro canto, dal disagio nasce l’arte. Come cantava Fabrizio De André in Via del Campo “dal letame nascono i fior”. Gli scalini del Tamburino sono esattamente 126, proprio come la desinenza che troviamo di seguito al nome di alcuni tra i maggiori giovani rappresentanti della musica italiana. Proprio lì, infatti, intorno al 2006 nasceva la crew dei 126, un gruppo di ragazzini che, innamorati di un certo rap romano (ma non solo) come quello di Noyz Narcos e del Cicoria, si radunavano o sulla scalea o sui banchi di scuola e, sulle toste basi rap, cercavano con le parole cantate di dar forma ai propri pensieri. Questo gruppo di ragazzini era formato da Ketama126, Franco126, Pretty Solero, ASP126. Col tempo, a questi ragazzi ormai nomi da classifica nazionale, si sono aggiunti Drone126, Ugo Borghetti e i membri della crew che allora si chiamava Wankers, Carl Brave e Enphashishi, unendosi tutti in una nuova crew: i Guasconi.

Da lì, il passo per diventare la Lovegang è stato breve. Dalla scalea del Tamburino, dunque, nasce la crew dell’amore, che ‹‹Rolling Stones›› una decina di anni più tardi definiva come “l’unica crew italiana di trap che ha ragione d’esistere”. “È palese: la Lovegang è l’unica vera gang italiana contemporanea. L’unica in grado di capire il valore delle radici cittadine, del supporto amicale reciproco, aiutandosi e stimolandosi in una costante crescita”, continuava la rivista numero 1 al mondo a tema musicale.

La prima nota che salta agli occhi ascoltando i membri della Lovegang e la loro produzione musicale degli ultimi anni è l’enorme diversità che li contraddistingue l’uno dall’altro.

Da un lato abbiamo, per esempio, Ketama126, il più forte esponente trap del gruppo che dopo pochi anni, super prolifici, si pone già in forte continuità con una tradizione ben precisa, quella dei TruceBoys e degli In The Panchine. Ma mentre questi ultimi anelavano al consumo, il nostro Ketama126, figlio del consumismo dalla testa ai piedi, vi si abbandona completamente. Ketama è un vero portavoce del disagio dei ragazzi di oggi, esattamente come di quelli che sulla Scalea del Tamburino rendono la vita impossibile ai nostri residenti. Nel maggio del 2018, Ketama pubblicava nel disco omonimo il pezzo intitolato Rehab di cui scelgo alcuni versi iconici: “parlo sempre di droga perché non facciamo altro / non ho contenuti perché sono vuoto dentro”. Nichilista, autodistruttivo, vuoto, totalmente vuoto. Così si sentono molti ragazzi di oggi, molti romani in particolare. Così si sentono e così li vedono i loro nemici: ragazzini che non fanno nulla, che non hanno nulla da dire, che non rispettano e non creano nessun valore. Ma riuscire a dire una cosa del genere non è da tutti. Ci vuole ascolto di sé, ci vuole coraggio, ci vuole un gruppo di amici ad appoggiarti, ci vuole fiducia nella condivisione.

Dall’altra parte abbiamo, per esempio, Franco126 e la sua deriva fortemente cantautoriale. Nato anche lui nel segno del TruceKlan, si è poi aperto a maestri come il Califfo, De Gregori, Baglioni. Se nell’album a quattro mani Polaroid si trattava, insieme a Carl Brave, di lasciare le immagini della loro quotidianità, con l’album solista Stanza Singola, Franco ha iniziato a trovare una sua identità molto più forte con la dichiarazione d’intenti di essere un nuovo cantautore. E, sì, con l’ultimo album Multisala, sempre da solista, possiamo dire che Franco dalla Scalea del tamburino si è conquistato, raccontando se stesso e i propri disagi, un posto nel cantautorato italiano contemporaneo, affrontando i classici temi dell’amore senza dimenticare quel che li ha fatti nascere: la comitiva. Ieri l’Altro, nell’album Stanza Singola, recita così: “Ci incontravamo in quelle scale ai gradini più in alto / Affogavamo i mozziconi in un mare d’asfalto / E mi sembra di rivedere i dettagli / Ma il tempo aggiunge sempre falsi ricordi / Spalla a spalla /Ci sentivamo tutto il mondo contro”.

Tra questi due estremi, la Lovegang porta con sé tanti autori, sempre differenti fra loro. C’è per esempio Ugo Borghetti, rimasto legato a una dinamica più rionale, definibile come un cantastorie della vita di tutti i giorni, della vita romana e trasteverina, della strada, dei suoi angoli, dei suoi abitanti. Eccezionale il suo omaggio al Vichingo (Campare di Campari), in featuring con Aspi126, di cui cito due estratti. L’inizio di Aspi: “Vorrei fà come er Vichingo / E campare di Campari / E contare sui passanti / E campa’ come i cristiani / E voglio più di centomila persone al mio funerale / Ma per prima fà finta che se non ci stanno è uguale / Resto qua, senza soldi, senza fame / Fanno così le superstar, pure se non lo sappiamo”. E poi Ugo Borghetti: “Amo Roma, la strada in tutte le sue forme / Non mi fido di chi dorme / Me fido solo dei fratelli con cui bevo e magno / E da morto non dite che ero un santo / Ma un bastardo che stava sempre ‘mbriaco / Bevo birre in un angolo da solo come un appestato / Bevo tanto e fumo per reprimere tutta ‘st’angoscia che non mi fa dormire”.

E se Carl Brave, con la sua deriva più Indie Pop, non ha bisogno di presentazioni, un’ultima nota di merito va fatta a Pretty Solero, all’anagrafe Micheal Sean Loria, classe 1993. Lui, inizialmente considerato spalla destra di Ketama, è arrivato sulla bocca di chiunque a Roma per aver mostrato il pisello al pubblico durante l’apertura del concerto di Massimo Pericolo, Speranza e Ketama126 al Rock in Roma del 2019, dove è stato caricato e portato via dalla security. Estetica e atteggiamento da cattivo ragazzo, Pretty Solero è colui da cui viene il nome Lovegang, la banda dell’amore. Il nome, infatti, rimanda proprio alla sua poetica, che ha voluto ribaltare gli stereotipi del trapper tutto sesso, droga e violenza per lasciar ascoltare ai suoi fan il cuore: fatto di amore e sentimento. Il suo manifesto è probabilmente l’album Romanzo Rosa del 2018. Ecco un estratto della canzone Sentimento: “Droghe nelle mie tasche / Freddo dentro al mio cuore / Rose rosse e bianche / È la gang dell’amore / Fai quello che ti piace / La vita è troppo breve / Gordo riposa in pace / Riposa in pace”. E un altro: “Sono bello e disgraziato / Mi hai baciato l’altra sera / Al centro della piazza è nato un tulipano / Questa è Love Gang / Bucami il petto, fidati di me / A passo lento balliamo per strada / Le costellazioni parlano di te / E tu amami, pensami se / Alla notte non trovi un perché”. Estratti che ci raccontano di un ragazzo che vuole parlare dei suoi sentimenti più profondi, come del lutto per un amico perso e del cuore che batte per una ragazza.

La Lovegang è un fiore all’occhiello trasteverino, ci porta in tutta Italia e non per un piatto di amatriciana fatto con la pancetta e venduto a 15 euro, ma perché questi ragazzi hanno qualcosa da dire. Hanno bisogno di dire qualcosa. Dalla sincerità nasce l’arte, nasce la possibilità di comunicare con gli altri e di farsi ascoltare. La Lovegang ci racconta un mondo che esiste. Un mondo che vorrebbe essere cancellato da molti. Un mondo, come tutti i mondi, che crea ulteriore disagio, oltre a quello da cui nasce. Un mondo, fatto di sofferenza e di incertezze, in cui però alcuni valori vengono portati avanti con forza e con orgoglio. Come il valore dell’amicizia, del supporto reciproco, della crescita l’uno per l’altro. Che sia questo il segreto del loro successo? Il terreno di amicizia e condivisione in cui sono cresciuti? Che sia proprio la Scalea del Tamburino?

 

Di Saverio Cambiotti

Illustrato da Wuarky

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