Tratto da Né in cielo né in terra, Exòrma, 2016

 

Se ci pensi è un caso molto strano, unico al mondo direi, quello dei romani che sono i soli a non fare qualcosa a Roma da duemilacinquecento anni e piú. Anche nell’antichità, vai a vedere se c’è un notabile, un politico, uno storico, un artista, un artigiano, architetto, scrittore, un idraulico che è nato qui, vengono tutti ma proprio tutti da fuori per fare qualcosa mentre loro, i romani, si sono abituati che vengono questi qui da fuori a fare qualcosa e gliela lasciano fare. È naturale che questo crei problemi negli approvvigionamenti, allora ci si arrangia, bisogna pur campare se uno ha quel destino di esser nato in un posto dove ci vengono tutti a fare qualcosa… E nemmeno ci pensano ad andare nei paesi da dove vengono questi qui e fare qualcosa a casa loro, ci hanno messo un mezzo millennio di giri in tutto il mondo conosciuto e sconosciuto per capire che non valeva la pena, si vede, forse è stato cosí, sta di fatto che da allora non si sono piú mossi, fanno fatica pure per una vacanza, soprattutto con grande rispetto e riverenza verso quelli che vengono da tutte le parti per fare qualcosa. E quelli ci vengono, ci calano, non solo buzzurri da nord e burini da sud ma da ogni parte del globo terracqueo, fanno qualcosa e poi gli dicono dietro ai romani che non gli va di fare niente, che sono indolenti, mentre hanno solo preso atto che chissà come e perché questo è un posto dove ci si viene da fuori a fare qualcosa, e siccome già lo fanno e i posti sono tutti occupati che non ce n’è uno nemmeno in ultima fila, a noi romani non resta che guardare in giro attentamente, lasciare le cose prendere il loro corso, allenarsi a quello che è già scritto, si vede…

Quello che si vede ad esempio, è che oltre quelli per fare qualcosa ci vengono pure gli incapaci, gli indolenti e i ladri da ogni parte d’Italia e del mondo e si fingono romani, dopo un po’ dicono di essere romani e in quanto tali emarginati e perseguitati da quelli venuti da fuori a fare qualcosa, e siccome questi ultimi devono farla loro qualcosa allora sono impossibilitati ad agire, mentre non sono capaci né qui né lo erano a casa loro, non gli va di fare niente, tanto che da là se ne sono andati o forse li hanno cacciati. Questi li riconosci perché sbraitano e si lamentano, ma al massimo possono ingannare quelli venuti da fuori per fare qualcosa che magari gli viene il senso di colpa e gli offrono qualche posto subalterno, ai romani però non li ingannano di sicuro, perché nessuno ha mai sentito un romano che si lamentasse di essere emarginato e non poter fare qualcosa, loro lo sanno cos’è un destino… Un destino è che nasci, invece che in un posto da dove si parte per venire qui se hai ambizioni e grandi idee da realizzare, invece nasci in un posto dove vengono da tutte le parti da millenni, occupano tutte le caselle disponibili e ne creano di nuove se necessario per fare quel qualcosa per cui sono portati, e se te ci provi a imbucarti si mettono a ridere, non ti prendono nemmeno in considerazione…

Difatti ogni tanto lo vedi qualcuno di noi che ci prova, ma è tanto per rompere la monotonia, oltretutto senza le giuste motivazioni perché in fondo in fondo lo sa che non c’è trippa per gatti, come si dice, e con intorno poi la diffidenza dei suoi, ma che s’è messo in testa questo qui? E la cosa dura da molto piú di duemila anni, pensa ai primi re che erano tutti etruschi o sabini…

In tutto questo un’eccezione c’è, è vero, ci dev’essere del resto, il Divo era nato qui, quello delle ventitrè coltellate. Per quello a Roma il ventitrè è il numero della Fortuna…

 

A me che lo stavo a guardare che declamava, tutto un apri bocca e dagli fiato mi pareva, e nient’altro. C’era poco da intervenire secondo me, intanto però lui continuava il discorso e la camminata nei due metri liberi della stanza, diciamo cosí.

Si può dire che in duemila anni l’unica eccezione è stata Cinecittà subito dopo la seconda guerra mondiale, lí per la prima volta in assoluto i romani hanno trovato lavoro come comparse, vale a dire si sono realizzati come si dice. E c’è da dire che economi come sono ci campano ancora con quei soldi di Cinecittà, loro che sono comparse o al massimo figuranti speciali messi a vivere fra i monumenti da quel gran regista che è il Destino! Tremila romani per Cleopatra, trentamila addirittura sugli spalti nella corsa delle bighe di Ben Hur, solo come esempio, a fare il pubblico appunto, tutti eccitati dalla novità di lavorare o fare qualcosa che forse è piú adatto come modo di dire, per giorni e giorni sotto il sole di agosto. Adesso che ho uno sprazzo di memoria, uno mi ha raccontato che era lí nella folla a urlare con un suo amico, un comunista della sezione ci ha tenuto a dire, a un certo punto si è sentito spingere di lato da qualcosa come un gommone, s’è voltato e ha visto il suo amico tutto rosso che si gonfiava come una zampogna dalla disidratazione, allora s’è girato per chiedere aiuto e ha visto migliaia di zampogne intorno a lui che si gonfiavano piano piano, tutti rossi e muti ma con calma si gonfiavano, mollemente come fa un piccoletto con la cingomma, cosí ha detto. Hanno dovuto interrompere la lavorazione, con migliaia di palloni gonfi nello stadio veniva un cartone animato! Da quel giorno è stato inventato il fatto di innaffiare con la pompa gli spalti, come adesso fanno negli stadi o ai concerti e prima facevano solo con le bestie dello zoo…

Comparse…, continuava senza pause, o al massimo figuranti speciali, ecco il punto, noi qui sappiamo di non essere altro che comparse, non ce lo possiamo dimenticare mai se nasciamo qui… L’unica chance si potrebbe dire è provare a dimenticarselo, comportarsi e vestirsi e parlare come si fosse uno venuto da fuori per fare qualcosa, e c’è da dire che certi romani lo fanno, con grande fatica e tremendi contraccolpi ma lo fanno… Anzi! Già che ci siamo potremmo azzardare una definizione da mettere sui dizionari una volta per tutte! Dicesi romano vero chiunque, essendo nato a Roma, subisca angherie da parte di falsi romani e stranieri in maniera continuativa, e reagisca sostanzialmente avvertendone poco o niente, a volte pure accorgendosene poco, come se tanto livore gli sia quasi dovuto in virtú di una superiorità fatale…

Come è successo un posto cosí e di nascere proprio qui? È questo il punto! Certo non se lo chiedono i romani, e nemmeno tanto quelli venuti da fuori, si vede che non rientra nel fare qualcosa il chiedersi perché è cosí, nemmeno i filosofi se lo chiedono, forse perché non è ammissibile un posto del genere ed è piú facile pensare a una popolazione di scioperati. È vero che siccome allora c’era tanto spazio da scegliere per fondare la città, insieme a decine di altri parametri che hanno considerato come la luminosità, il clima eccetera avrebbero potuto considerare anche questo… Le malelingue venute da fuori per fare qualcosa in materia di spettegolamento e invidia dicono che infatti l’hanno considerato. Forse è lo scirocco, dicono certi altri, ma secondo me non basta a spiegare, perché col tempo uno si dovrebbe abituare, come i beduini che si abituano a vedere nella polvere…

 

(tratto da Né in cielo né in terra, Exòrma, 2016)

Di Paolo Morelli

Illustrazione di Elia Novecento

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