“Vado avanti a gomitate tra la gente che s’affolla”, cantava nel 1972 Claudio Baglioni nella sua Porta Portese. Adesso, dopo il Covid, in quello che nel Dopoguerra era nato come nuova sede del mercato nero e che è diventato nel tempo uno dei simboli di Roma a livello mondiale, le cose sono cambiate. Di gente ce n’è tanta, ma anche tra i banchi di via Ippolito Nievo e di via Ettore Rolli il divieto di assembramenti e l’obbligo del distanziamento personale sono diventati la regola, come pure l’adozione delle varie disposizioni sanitarie, che quasi tutti rispettano diligentemente.
Valentina e Alessandro, che vendono spille, anelli e orologi appena dopo l’ingresso di viale Trastevere, indossano sempre i guanti. Omero, il re dell’abbigliamento nuovo e usato, nonostante il caldo non si abbassa mai la mascherina, mentre Manuel l’antiquario, da cui il mio amico Riccardo ha comprato uno sgabello di ferro per il suo locale, sta sempre attento che non ci siano più di tre persone contemporaneamente davanti al suo banco.
Insomma, in un modo o nell’altro Porta Portese resiste, e il vecchio motto “qui puoi trovare di tutto: dalla pillola al Jumbo Jet” è sempre valido.
E dire che la scorsa estate erano stati proprio i problemi legati al rispetto delle norme anti Coronavirus a minacciare la mancata riapertura del mercato simbolo di Roma. Che a marzo, in piena Fase 1 del lockdown, non si era potuto svolgere perché non rispettava le condizioni strutturali decise all’epoca dal Campidoglio per l’apertura dei mercati cittadini.
A giugno, una volta superata la fase più critica (almeno per ora) della pandemia, per le prime tre domeniche Porta Portese aveva riaperto regolarmente i battenti e tutto era filato abbastanza liscio: la Polizia locale, l’amministrazione municipale e gli operatori del mercato, dopo settimane di incontri, controlli e sopralluoghi, sono infatti riusciti a redigere un progetto adatto a consentirne il normale svolgimento.
Il protocollo, che è tutt’ora in vigore, prevede la presenza di sette varchi agli accessi del mercato che consentano un contingentamento degli avventori, ai quali viene misurata la temperatura corporea al momento dell’entrata. Sono poi stati posti quattro presidi fissi per consentire l’ingresso nella zona ai soli residenti, oltre che la creazione di percorsi obbligati con una segnaletica ad indicare il corretto senso di marcia e un maggiore distanziamento tra i vari banchi.
Tutto questo servizio di sicurezza, affidato a una ditta privata, è stato sempre pagato esclusivamente dagli operatori, per un costo che inizialmente era di 2.800 euro a domenica e che adesso è salito a 3.200.
I primi tempi, i proprietari dei banchi hanno potuto attingere da un fondo cassa che ha consentito di finanziare le spese del servizio d’ordine con una certa tranquillità, ma adesso molti non possono o si rifiutano di mettere mano al portafoglio, anche per una questione di principio. Soprattutto i cosiddetti “regolari” che pagano puntualmente al comune la tassa per la licenza del banco, che vogliono che siano il Comune o il Municipio XII a prendersi carico di quest’onere.
Proprio la questione degli operatori con licenza e di quelli solamente “censiti” è uno dei punti focali per capire la situazione di Porta Portese. I primi, che pagano un’alta tassa e occupano circa 500 postazioni nella parte del mercato nuovo, su via Portuense, vendono in gran parte capi d’abbigliamento, mentre i secondi, che sono anche di più, sono posizionati tra via Ippolito Nievo, largo Anzani e via Bargoni. Commerciano l’antiquariato e l’oggettistica di ogni tipo e sono l’anima storica del mercato, anche se non sono mai stati ufficialmente autorizzati e attendono da anni lo sblocco dell’iter amministrativo per essere messi in regola.
Nonostante questa differenza di status, dovuta al costante disinteresse verso Porta Portese da parte delle varie giunte che hanno governato la città nel corso degli anni e che ha generato e genera tutt’ora un certo stato di confusione, i due gruppi di operatori hanno sempre convissuto in modo pacifico, creando una sorta di autogestione condivisa del mercato che in un modo o nell’altro ha sempre funzionato.
Adesso, invece, oltre al generale stato di tensione che si respira per la pandemia, si è creata una spaccatura tra chi è disposto a pagare di tasca propria il servizio di sicurezza e chi invece non ne ha intenzione.
Facendo un rapido calcolo, se tutti gli operatori dei circa 1.100 banchi (tra quelli con licena e quelli non) contribuissero in parte uguale alla spesa, il costo a domenica per ciascuno sarebbe poco meno di 3 euro, certamente un contributo accettabile. Ma in realtà a versare la quota sono molti meno, e così il prezzo sale dai 5 ai 10 euro a settimana per ciascun banco.
In qualunque modo lo si voglia vedere, il quadro generale appare veramente complesso, tanto per volere usare un eufemismo. Quasi tutti gli operatori che abbiamo interpellato, però, sono d’accordo su una cosa: c’è bisogno di istituire un ente che si occupi esclusivamente e in maniera costante di Porta Portese, di cui devono far parte l’amministrazione capitolina (meglio ancora quella municipale), i rappresentanti dei lavoratori del mercato e i comitati di residenti del quartiere, che finora sono sempre stati esclusi dal dibattito e che invece meriterebbero finalmente di essere interpellati.
Per gestire la situazione, la Giunta del Municipio XII, quello competente per territorio, ha invece istituito un tavolo consultivo su Porta Portese composto da politici e tecnici, escludendo gli operatori. Tavolo che è stato riunito a metà agosto e che, almeno fino al momento in cui è stato scritto questo articolo, non ha ancora prodotto nessun documento pubblico né portato a qualche provvedimento.
Ad arricchire il tutto, è poi avvenuto un fatto che ha tinto di giallo l’intera vicenda. In un post pubblicato il 13 agosto sulla propria pagina Facebook, la presidente del Municipio Silvia Crescimanno (M5S) ha denunciato “un grave gesto intimidatorio”. “Durante l’orario di chiusura del municipio ignoti delinquenti hanno divelto i tamburi delle porte dell’archivio dove sono custoditi anche i faldoni del mercato di Porta Portese, – ha scritto Crescimanno – proprio all’indomani della prima riunione del tavolo consultivo istituito dalla Giunta su mandato del Consiglio”. Nel post, la presidente ipotizza nemmeno troppo velatamente cosa si nasconde dietro questo gesto: “Il messaggio è chiaro: vogliono impedirci di lavorare facendoci sapere che sono in grado di colpirci in qualunque momento all’interno del Municipio con azioni criminali, muovendosi come se fosse casa loro”.
Non è ancora chiaro se dall’archivio municipale sia effettivamente stato sottratto qualche documento (il Municipio non ha mai reso noto l’esito delle verifiche che era state annunciate), ma tra i banchi del mercato, la domenica successiva al post della presidente, si è scherzato parecchio sull’accaduto. “Sò stato io a esseme rubato sti faldoni! Nun poi capì che c’ho trovato dentro!” è stato il commento ironico Giuseppe che vende cornici a piazza Ippolito Nievo. “Ma se in Municipio se ne sò sempre fregati del mercato? Capirai che interesse ce pò avè qualcuno a fà ‘na cosa der genere… A me me pare ‘na grossa fregnaccia che comunque co’ Porta Portese nun c’entra gniente” il parere Mauro, da venti anni il cartolaro via Bargoni.
Mistero del faldone a parte, non sono solo gli operatori del mercato a lamentare l’assenza di attenzione delle istituzioni cittadine verso Porta Portese. Secondo la consigliera del XII Alessia Salmoni (lista civica), che insieme al consigliere Elio Tomassetti (PD) aveva proposto la creazione di una commissione permanente su Porta Portese, “l’amministrazione non sta onorando i suoi obblighi, primo fra tutti quello di farsi carico delle spese per il servizio di sicurezza anti-Covid”. Secondo Salmoni, il rischio è che da un momento all’altro possa scoppiare una bomba sociale: “Il Comune non sta regolando l’abusivismo commerciale in nessun modo, gli operatori che lavorano in modo corretto sono totalmente abbandonati e non ci si rende conto dell’enorme danno che si reca all’intera economia cittadina”.
Porta Portese è uno di quei casi in cui il Covid non si è limitato a recare dei bei danni di per sé (primo fra tutti il mancato incasso patito dagli operatori durante la chiusura forzata), ma ha anche fatto emergere problematiche già presenti ben prima della pandemia.
Le istituzioni cittadine hanno il dovere di farsene carico con un disegno a lungo termine, sempre che se ne abbia uno, ripensando il mercato e inserendolo nel contesto commerciale e sociale di oggi, conservando sì la sua storia e la sua tradizione, ma provando a proiettarlo nella città del futuro. Non c’è più solo il problema di sanare la divisione tra operatori regolari e non, ma è necessario ripensare a Porta Portese come luogo attrattivo della città smettendola con le soluzioni tampone che lasciano tutto nella perenne precarietà nella speranza che i problemi si risolvano da soli.
Il concetto è chiaro: per resistere, Porta Portese ha bisogno di riesistere.
di Gianluigi Spinaci
Illustrato da Enton Nazeraj
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