Nei tempi passati Trastevere è stato isolato. I ponti da e per Trastevere erano in continua demolizione-costruzione; ci si muoveva da una parte all’altra del Tevere con le barchette.
I Trasteverini erano abituati a starsene tra di loro, nelle osterie, a bere vino a giocare a carte. Un rione circoscritto, un piccolo paese, tutti conoscevano tutti.
Si era il figlio di, o il nipote di. La casa di briganti, scenario di alterchi tra bulli, dimora di artigiani, fabbri, carpentieri, prostitute e conventi: Trastevere era un rione popolare. Per popolare si intende abitato da persone del popolo, attive nella comunità, ognuno aveva un ruolo.
I poeti prendevano spunto dalle dinamiche del rione, ne studiavano gli usi, i costumi, la lingua e per farlo ne dovevano essere immersi, ne dovevano essere parte.
Il ritratto del trasteverino tipico nella penna dei poeti è una sagoma genuina a volte grezza, senza fronzoli e “de core”, divertente e acuta, curiosa e intraprendente, con le sue superstizioni, il suo iter.
Quello che ad oggi potrebbe essere descritto come paesano: con un suo dialetto, forte nelle sue abitudini ma soprattutto fiero del suo territorio. Il trasteverino non è stato romanzato dai poeti, è stato trascritto come figura storica, talmente unico da dover essere ricordato.
Con la costruzione dei muraglioni a partire dal 1870 Trastevere è diventato un rione più sicuro, non più soggetto a continue inondazioni. La costruzione dei nuovi ponti Garibaldi (ultimato 1888), Sisto (demolito nel 1875 e ricostruito nel 1877), Mazzini (ultimato 1908), Nuovo Sublicio (ultimato 1917) e Principe Amedeo Savoia Aosta (ultimato 1942) ha garantito al rione un’accessibilità del tutto nuova.
La sua strategica e geografica centralità è quindi relativamente recente. Nel corso degli ultimi due secoli Trastevere è diventato da paludoso e chiuso, alla portata di tutti e aperto.
La sua nuova sicurezza, l’osannare dei poeti sulle sue abitudini e sulla sua lingua, la fama di osterie e di bagordi, i luoghi storici Garibaldini, i suoi vicoli stretti, le sue piazze e luoghi di incontro, il carattere verace e unico dei suoi abitanti hanno reso Trastevere specchio di romanità, destato la curiosità dei “voialtri”.
Eppure durante e subito dopo la seconda guerra mondiale, a Trastevere c’era il mercato nero: contrabbando, speculazione su beni primari.
Negli anni ’70 e ‘80 a Roma c’erano le batterie, che si unirono per formare La Banda della Magliana accaparrandosi l’egemonia su scommesse, gioco d’azzardo e soprattutto spaccio di droga sul territorio romano.
Il rione veniva visto come quartiere malfamato e in parte lo era: la droga era in strada, quella brutta non qualche canna. Trastevere non era un quartiere insomma dove la gente “di fuori” si sentiva sicura, nonostante la “nuova” accessibilità, la “nuova” sicurezza geografica.
Unitamente a questo periodo di malaffare a Trastevere nacquero però realtà culturali quali solo per fare degli esempi Il Folkstudio e il Filmstudio.
Rispettivamente circoli legati alla musica e al cinema. Bob Dylan, Gregory Corso, Wim Wenders uniti a Bernardo Bertolucci, Sergio Leone, Nanni Moretti e Alberto Sordi insieme a molti altri fecero respirare ai trasteverini un’aria di rinnovamento culturale, di ribellismo intellettuale.
Ogni sera un film nuovo, una rassegna, un libro di cui parlare, un concerto da ascoltare.
Ed è in questo momento storico che nasce la dicotomia della nuova Trastevere in cui l’ex galeotto si siede al bar con il letterato, Bertolucci e Pivano si comprano casa ad un passo dal famoso “Portonaccio” luogo di smistamento di motorini rubati e vicolo buio atto allo spaccio. Ed anche in questo periodo Trastevere è popolare: ci sono gli artigiani, ci sono le prostitute ci sono i drogati, ci sono i criminali e gli intellettuali.
Solo con l’arresto lo scioglimento e la fuga della banda della Magliana che Trastevere torna ad essere un quartiere sicuro, apparentemente senza criminalità organizzata.
Negli ultimi trent’anni Trastevere è cambiata ancora, radicalmente, aprendo le sue case, le sue strade e i suoi luoghi al turismo di massa.
La notte è il momento in cui Trastevere parla più sinceramente, nonostante il buio, si rende più visibile. Si racconta, si apre, si mostra. Nei suoi sbagli e nel suo fascino.
A via della Scala orde di stranieri, turisti o studenti della John Cabot fanno baldoria, urlano, vomitano, ridono, cascano, si ubriacano. A via Masi gruppi di ragazzi fumano e bevono qualche birra, stanno insieme, giocano. Poi, magari si spostano giù a piazza san Cosimato e tirano fuori un pallone.
Salendo via Mameli, all’incrocio con via Garibaldi c’è un muretto. Quello è un buon sedile per una chiacchiera più calma, la notte non passano troppe macchine. Piazza san Calisto si surriscalda di altri pischelli, forse un po’ più grandi, che fanno branco. Le tipiche comitive romane. Trastevere la notte può essere inondata, alcune zone in particolare lo sono sette su sette, senza sosta e a tutto volume. Altre no, sono calme, rilassate, pacifiche. Qualche strilletto qua e là ci sta, ma non è nulla di che.
Allo stesso tempo in tutta la zona da una parte all’altra del viale, può capitare che gruppi di persone si fermino e persi in una conversazione alzino la voce. Lì interviene la vecchia rara e forse sana abitudine delle minacce dalla finestra, dello strillo, tutt’al più di una secchiata d’acqua. La risoluzione inter nos.
Trastevere è un po’ tutto questo. In alcune zone il residente è succube del movimento e del rumore di massa. Centinaia di persone si riversano in quelle vie a bere, a fare casino, a divertirsi con gli amici. Proprio quelle vie sembrano programmate scientemente per far sì che l’universo ci vada con l’idea di godere di libertà, di cibo e di vino a volontà.
Gli NCC portano direttamente i turisti con le valigie al tavolo del ristorante ben organizzato per rispecchiare esattamente lo stereotipo turistico. L’immagine da cartolina. La soluzione l’avrebbe trovata l’amministrazione cittadina: niente alcol in strada dopo le 23:00. Il problema non sarà che sono state date una miriade di licenze per fare attività di un certo tipo, di ristorazione, bar e locale, nelle regole del libero mercato? Si vieta ora a quelle persone di fare l’attività a cui hanno ottenuto la licenza? Non si potrebbe piuttosto incentivare chi trasforma la sua attività in qualcosa di nuovo e di positivo per il territorio?
Questo lato di vita notturna ci mostra anche un altro aspetto: una quantità indecente di case sono ormai alloggi per turisti che potranno vivere l’incanto del rione simbolo di romanità, mentre fanno la fila con un bicchiere di prosecco, tra americani e francesi. In tutto ciò, Trastevere è ormai inaccessibile per un romano X: gli affitti sono spaventosi, e soprattutto neanche se ne trovano tanti.
Perché Trastevere è troppo impegnata a mettersi a forma e immagine del turista. In questo scenario, il trasteverino sembra obbligato ad emigrare e a non partecipare più, se non come vittima o lavoratore, alla vita notturna.
Nelle ultime settimane abbiamo visto una Trastevere cambiare ancora e ancora. Dapprima, con la diffusione del Coronavirus abbiamo visto un Rione senza turismo. L’Italia con tutte le sue località più visitate sono diventate off-limits per tutti quegli avventori esterni che per timore di non poter tornare a casa o di esser messi in quarantena al ritorno dalle zone rosse, non viaggiano più.
In questa breve fase il Rione è stato scarno da quello che è definito “turismo di massa”: ristoranti prima vuoti e ora chiusi, case in affitto al turista con serrande abbassate, interi condomini disabitati. Nel quartiere, senza turismo, rimanevamo solo noi, ed eravamo pochi.
Ed allora sì che abbiamo potuto appurare quanto questo quartiere è stato adibito al turismo.
Ma è con il decreto ministeriale dell’11 Marzo, la chiusura di tutte le attività commerciali (ad eccezione di farmacie e alimentari), e l’invito a rimanere a casa se non per necessità di approvvigionamento e sanitarie che vediamo un’altra Trastevere, una seconda evoluzione: quella senza il suo popolo.
Come quando, in tempi non sospetti, giravamo solitari per il rione di notte. In quell’ora in cui i locali sono chiusi, e molti bar devono ancora aprire, in quelle rare ora in cui in giro non c’era nessuno, eravamo solo noi e Trastevere. La sua natura però non è solo quella contemplativa, quella da osservare, vuota e ricoperta di quiete.
Trastevere è stata isolata storicamente, eravamo i Trans-Tiberim, siamo stati malfamati e intellettuali, siamo stati drogati e compagnoni. Trastevere è stata mercificata e martoriata dal turismo, ma ora è sempre là, più vergine che mai.
E ci aspetta, qualunque cosa decideremo di farcene quando torneremo a viverla.
[…] 3 – Questa notte mi fa impazzire […]