Quando ho incontrato Davide Giambelli sono stata catapultata nello strano mondo delle scale elicoidali. L’architetto romano infatti le riporta su carta disegnandone i progetti, arricchendoli con la sua preziosa interpretazione, in una sorta di procedimento all’inverso.

Da dove nasce questa passione?

Dopo essermi laureato mi sono imbattuto subito in progetti internazionali, grazie ai quali ho scoperto la complessità dell’architettura, mentre all’università ne avevo appreso principalmente le nozioni basilari. Dopo le esperienze all’estero, in cui ho iniziato a lavorare con la tridimensionalità, ho sentito il bisogno di tornare e di cercare un rapporto con Roma.
E l’ho fatto tramite l’architettura, appassionandomi al tema delle scale d’autore all’interno di edifici progettati da grandi architetti del ‘900.

La prima scala a cui penso è quella del Guggenheim di New York…

È interessante che la citi perché per farla Frank Lloyd Wright si è ispirato a una scala che ho ridisegnato, quella dei Musei Vaticani dell’architetto piemontese Giuseppe Momo.
Sai, anche se le scale elicoidali hanno una forma legata alla natura, spesso mi sembrano non appartenere alla Terra e questo mi affascina molto. Quando vivevo a Los Angeles ho viaggiato e ho visto molte opere di Wright. Appena te le trovi davanti hai la sensazione che non appartengano al nostro pianeta. Questo concetto dell’architettura aliena l’ho trasposto nei miei lavori, il cui sfondo è sempre una gigantografia di superfici di pianeti del sistema solare.

Parlami del procedimento che ti porta a realizzare le tue scale elicoidali.

Inizialmente vado nel posto con la scala interessata. Capita che non siano accessibili, quindi cerco di rubare le misure a occhio, faccio qualche foto e dai pochi elementi raccolti le ricostruisco da zero. Questo è un momento molto stimolante perché riporto su carta quelle che ritengo siano le proporzioni verosimili. Poi le modello in 3D e infine le lavoro in post produzione con Photoshop. In quest’ultima fase entro in una specie di trance: quando inizio non so mai che direzione prenderò. È un procedimento abbastanza lungo. Per disegnare la scala della Rinascente a Piazza Fiume, realizzata da Franco Albini, ci ho messo un anno e mezzo, anche perché lo faccio a tempo perso. Inoltre, mentre molti progetti di oggi mirano alla sintesi, fondamentale nella comunicazione, a me interessa la complessità. Di Albini ho disegnato anche la scala di Palazzo Rosso, a Genova. Mentre disegnavo mi hanno colpito subito le somiglianze fra Albini e Renzo Piano e solo dopo ho scoperto che Piano ha collaborato con Albini, proprio all’allestimento dei musei di Palazzo Rosso. E l’ho scoperto analizzando i disegni: quella di Albini è una scala appesa dall’alto, non appoggiata a terra, caratteristica fondamentale delle scale di Piano.

Hai disegnato anche la scala di Wegil, a Trastevere.

Progettata da Luigi Moretti, sì. La scala non è nella parte dell’edificio gestito da Wegil, ma in quella del centro sportivo. Io ovviamente la associo alla parte culturale, e ho pattuito con Wegil di esporre lì una stampa della scala e di altri miei lavori.

Cosa cerchi con le tue scale?

Non ho le idee chiare a proposito, forse utilizzando l’architettura in maniera giocosa, cerco un rapporto pacifico con Roma. E mi piace entrare nelle teste degli architetti, diventare una sorta di assistente. Mi interessa poco che i miei disegni piacciano, ma vorrei capire cosa suscitano nelle persone, sperando che questo contamini e arricchisca i miei lavori. Comunque continuerò a disegnarle. Dopo il mio primo disegno, la scala del palazzo in cui abitavo come regalo per la mia compagna, sono andato alla mostra commemorativa di una giovane fumettista, Esther Alba Cristofori. Oggi non c’è più a causa di un carcinoma. Aveva una passione incredibile per il disegno, e questo mi ha colpito moltissimo. Grazie a lei ho capito che avrei dovuto dedicare più tempo alla mia espressione.

Di Alice Catucci

Illustrazione di Davide Giambelli

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