Il lavoro deve creare comunità nel quartiere

 

Specialista IT store, street promoter, agente immobiliare, guest house coordinator, personale di cucina per fast food, cameriere di sala, questi sono i primi annunci che mi appaiono quando scrivo “lavoro Roma Trastevere”. La globalizzazione del turismo ha creato, sta creando, un’altra serie di mestieri, soprattutto nell’ambito dell’ospitalità – hotel e simili – e del cibo.

Lavorano con stranieri, ma non solo, perché tutto quello che ruota attorno al lavoro – e i romani sono esperti nell’arrotondare il lavoro – diventa essere insieme, salutarsi, o quando necessario risolvere problemi.

È così che in questi 6 anni a Roma ho visto le stesse persone sempre negli stessi quartieri, come fossero tutti negozianti, legati alle mura delle loro attività, e invece è proprio un attaccamento affettivo che – almeno all’età mia – si consolida con il lavoro. Il lavoro crea comunità, ognuno viene riconosciuto per il suo mestiere. Sarà per questo che ancora al Calisto mi chiamo “il marchigià”, perché non c’è un posto preciso dove lavoro. Ma a Trastevere si ricrea una mappa legata a doppio filo al mestiere e al luogo dove lo eserciti. Il mestiere, a differenza del lavoro, non è facilmente sostituibile, non ci sono protocolli e processi automatizzati, bensì ogni volta è una cosa nuova, foss’anche solo servire un caffè, non sarà un gesto meccanico, senza guardare in faccia l’avventore. Piuttosto, sono le abitudini che tengono in piedi il tutto.

È come se fosse un presepe, ognuno il suo mestiere, il suo angolo, il suo regno, tra vicoli, piazzette e larghi, Trastevere è un susseguirsi di attività in simbiosi con la città, dove i camerieri diventano custodi dello spazio pubblico, sfingi all’ingresso di ciascun piccolo pezzo di mondo.

Trasteverini si diventa, con il lavoro, ed è così che l’egiziano al mercato o il bengalese aperto fino a tardi sono grati a Trastevere di averli accolti e coccolati, perché chi lavora per strada, a Trastevere, viene sempre ripagato.

Persino lo pseudo mago, il quasi fotografo in polaroid, il cantante improvvisato che però canta ogni sera, la mangiatrice di fuoco, gli artisti di strada, certo, uno potrebbe dire che è frutto del turismo di massa, ma in verità non è così, perché gran parte di loro abitano o frequentano Trastevere abitualmente, anche fuori stagione, quindi non solo per tirar su qualche dollaro dai turisti.

Una volta feci da guida a un gruppo di olandesi, fu uno sbattimento immane portarli a cena in tre posti diversi, perché volevano mangiare un piatto in ciascun locale. Ovviamente scelsi Trastevere, e quando uno degli olandesi si allontanò scocciato per mangiare altrove, gli corsi dietro, lo aiutai a scegliere un altro posto per poi ritrovarsi con gli altri. Passai un’ora a correre da un ristorante all’altro, tanto che uno dei proprietari se ne accorse. L’indomani, passando lì davanti, mi si avvicinò con 5 euro in mano, “sei stato bravo con i turisti ieri”. È quel giorno che mi son sentito trasteverino per la prima volta.

Serata storica davvero, perché dopo aver fatto di tutto per mantenere gli olandesi felici, proprio quello che si era allontanato finì per darmi in mano 50 euro e un compito “Una Peroni”. “Ma non hai una banconota più piccola?” “No dico, una Peroni per tutti”. E fu così che a tutti fu offerta una birra dall’olandese. Per una settimana non potevo andare in giro senza che qualcuno mi chiedesse “E gli olandesi?”

Mi son sentito bene, per me appena arrivato nel quartiere, ero qualcuno, e questo grazie al lavoro, e a Trastevere, che ha sempre gli occhi aperti, perché mica sarebbe successo lo stesso a piazza Navona. Anche solo lanciarsi un commento, una battuta, un saluto fa parte del lavoro, o più precisamente, di quello che vorremmo potesse tornare a essere un mestiere. In un’epoca di lavori part time e multi tasking, trovare vocazioni e idee nuove per campare e guadagnare. Per far questo ci vuole un mercato, e certamente c’è a Trastevere, che è avanti come Milano, ma flessibile come Napoli, marketing smart come Firenze e universitaria come Bologna. Trastevere è l’emblema del medioevo a Roma, ultimo baluardo di case basse e mini corti, unico quartiere turistico in città dove ricchi e poveri siedono sulle stesse panchine. Ma il medioevo è anche simbolo dei nuovi mestieri che allora sorgevano, senza mai portare però a durature rivoluzioni sociali. Qui il Papa è sempre stato di casa, e il lavoro più potente rimane quello del prelato che in silenzio supera i cancelli dell’enorme zona extra-territoriale che occupa il centro di Trastevere.

Il mestiere nobilita TrastevereQuartiere di santi e peccatori, di chiese e carceri, dove una fraschetta di vino può mettere pace sociale, e sta al cameriere, ambasciatore di strada, di far sì che l’incontro tra questi mondi così diversi resti leggero e casuale, democratico a modo suo.

“Sai perché amo Roma?”, mi disse una volta un professore norvegese in anno sabbatico proprio a Trastevere, “perché qui puoi bere tutta la notte con qualcuno e magari poi non salutarti più. In Norvegia saresti obbligato a salutarti e scambiare due chiacchiere inutili ogni volta che ti incontri. Qui c’è più leggerezza”. È vero che Trastevere è cambiata, che il turismo di massa ha alzato i prezzi e diminuito la qualità, che musulmani cucinano la carbonara nelle cucine romane, pur senza poter mangiare il maiale. È vero che ormai i vecchi mestieri quasi non esistono più, che il falegname, il corniciaio non riescono più a pagare affitti sempre più alti, e che i residenti non riescono a dormire perché il fine settimana Trastevere è solo il quartiere del divertimento alcolico. Ma è anche vero che il quartiere resiste, e lo vedi la mattina presto, quando il postino chiama per nome la signora, il gatto esce dalla finestra e ha una sedia tutta per sé, mentre i turisti passano e instagrammano, pensando di fare una cosa originale.

I mestieri vecchi quasi non esistono più, ma quelli nuovi ormai sono tra noi, ed è da loro che può arrivare “una rivoluzione”. Si parla di riders, di lavori per necessità, lavoretti, certo non di quei mestieri che si tramandano di generazione in generazione, ma il problema vero non è quale lavoro fai, bensì quale lavoro può pagarti un affitto in un quartiere sempre più boutique per turisti. Perché se a Trastevere il pizzaiolo o il cameriere ci deve lavorare ma non ci può abitare perché troppo costosa, se Trastevere diventa solo quartiere di movida e fighetti allora sì che questi dignitosi nuovi lavori diventano servizi da fantasma. Te li vedi alle 3 di notte sul notturno, direzione chissà dove. Trasteverini per lavoro, ma pendolari per necessità. I lavoratori sono un presidio sul territorio, dal tabaccaio al ristoratore sempre con lo stesso cameriere da 30 anni, se perdiamo loro, non ci sarà super affitto che ripagherà quanto si è perso. Ma quando smetti la divisa e vai al bar dove lavori, però da cliente, allora significa che il quartiere resiste, simbolo del tanto controverso glocal, locale come un quartiere, globale come un luogo dove per qualche ora, giorno o settimana si sentono a casa persone di tutto il mondo.

La prima volta che venni a Trastevere era il 2006, mi ero seduto in piazza a parlare con uno che faceva le carte, eravamo ragazzi, io e il mio amico, ed eravamo rimasti sconvolti dalla facilità con cui il cartomante aveva intuito i nostri caratteri. Magari non era un esperto di carte, ma di sicuro aveva il mestiere, l’esperienza di aver visto centinaia, migliaia di visi come i nostri, giovani per la prima volta a far serata a Trastevere. Il mestiere, a Trastevere, è capire subito con chi hai a che fare, come fosse veramente l’ultimo esame della fantomatica “università della strada” che in molti mettono su FB come descrizione del luogo in cui hanno studiato. Scrivessero Trastevere, se se lo possono permettere. E per permetterselo non bisogna avere i soldi per pagare un affitto, ma semplicemente bisogna aver lavorato in questo quartiere, una piazza con vista sul mondo. Foss’anche a spillar birre o a fare check in, farlo qui è un’esperienza di vita, una chance di incontro con persone di tutti i tipi e provenienze, e infatti, per me che amo Termini, Trastevere è la seconda stazione di Roma.

 

Di Francesco Conte

Illustrazioni di Francesca Murgia

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