RACCONTI 

 

Erano gli anni ‘90 quando l’estate, finita la scuola, durava tre mesi pieni, tra giochi con gli amici e momenti di noia lunghi il tempo di un gelato.

Eravamo tutti e quattro in età di sviluppo e a qualcuno di noi erano già cresciuti i baffetti sotto al naso. Lola invece era già una donna.

Giocavamo in piazza tutto il pomeriggio dalle 15.00 alle 19.00 e spesso tornavamo a casa con le gambe zozze e, alle volte, con le ginocchia sbucciate. Al centro della nostra vita, quell’estate come tante altre prima, c’era lui.

Era arancione e si chiamava Super Santos. Marco lo chiamava pallone democratico. Rispetto al Tango era più leggero ma non andava a vento come il Super Tele e se non eri troppo forte o grosso tiravi lo stesso delle belle bombe.

Assaporavamo il gelato in quel momento di pausa, quando il sole è alto e scotta. Finito il cono, carichi, andavamo sempre al mercato e dopo una Tedesca, anche due, cominciavamo a prendere a pallonate le saracinesche dei banchi. Prima quella del pesce che puzzava sempre, poi frutta e verdura ed infine la carne.

Non c’era competizione, bisognava solo fare rumore e farci sentire, che se anche eravamo piccoli esistevamo e quel chiasso era la nostra firma.

Super Santos tornava sempre indietro, non si perdeva mai, era fedele.

Alle volte, in strada, scendeva la signora della merceria, quella barbuta con le scarpe rotte che neanche una befana di professione poteva essere così malandata e maldestramente ci veniva incontro, dicendoci di finirla con questo casino, minacciando di bucare la palla con una chiave. Era l’ora di filarcela e con Super Santos al sicuro sotto braccio, scappavamo via urlando, prendendo in giro la signora e per finire un bel gesto dell’ombrello in segno di vittoria.

Erano gli anni ‘90 quando quell’estate, finita la scuola, non sarebbe stata per tutti il massimo. Marco era stato bocciato e per venire a giocare con noi doveva fuggire dai lavori forzati che suo padre falegname gli aveva imposto per punizione. Quell’agosto in piazza c’erano anche altri ragazzi più grandi ed arroganti. Ogni volta che giocavamo a pallone, il nostro Super Santos era costantemente preso con le mani anziché a calci. I ragazzi più grandi vogliono fare sempre polemica, fermando la partita e portandosi il pallone sotto l’ascella per dire la loro. “Era fallo” oppure “Se continui così ti picchio”. Con loro non si giocava a calcio, si faceva politica. Super Santos voleva solo essere calciato.

Poi ogni volta che giocavamo con i grandi il pallone prendeva l’odore di deodorante scadente, quel sentore di Pino Silvestre che i grandi si mettevano sotto le loro orribili ascelle e che Super Santos doveva sopportare ogni volta che la partita era ferma.

Quell’estate, al mercato, andavamo verso il crepuscolo dopo la partita con i grandi. Calciavamo con tutta la forza per sfogarci delle prepotenze o della semplice tensione per la partita di poco prima, quando anziché la baffona, quella sera, scese il marito.

L’uomo fu risolutivo. Con il suo paio di Camperos tirati a lucido, bloccò Super Santos con la punta delle scarpe. Una volta preso il pallone in mano e messo sotto l’ascella, tirò fuori dalla tasca un coltello a scatto con cui uccise il nostro pallone. Altro che chiave. E ci disse mostrando la punta del coltello: “Adesso filate via altrimenti sgonfio anche voi…”.

Andammo via dispiaciuti ed impauriti. Pensammo a tutti i palloni che erano passati nelle nostre vite di ragazzi e tutte le volte lo abbiamo chiamato Super Santos.

Erano gli anni ‘90 e quell’estate faceva un caldo tremendo tutto il giorno, tutti i giorni. Super Santos era al centro della piazza tutto solo.

Quell’anno nessuno sembrava filarselo più di tanto e per questo era diventato un pallone triste o semplicemente solo.

Noi ragazzi lo guardavamo dalla panchina mentre annoiati mangiavamo il gelato, qualcuno si accendeva la prima sigaretta e chi invece stava già pensando all’amore.

Ogni tanto qualcuno giocava con lui, ma era passato tempo e non era più come anni fa. Marco aveva regolato i conti con il marito della baffona, infestando la merceria della moglie con una marea di bigattini e quell’estate, quel signore prepotente, non avrebbe avuto più il tempo di bullizzare dei poveri ragazzi.

Prestavamo Super Santos ad un gruppo di ragazzini più piccoli e li facevamo giocare mentre noi eravamo ancora sulla solita panchina all’ombra, chi al secondo gelato, chi alla seconda sigaretta e chi invece era riuscito in una tresca estiva.

Eravamo cresciuti e forse il tempo dell’innocenza era svanito così decidemmo di regalare Super Santos al gruppetto di ragazzini, che ricordava noi qualche anno prima, sapendo quanto rispetto ed amore gli avrebbero dato a loro volta durante quella torrida estate.

 

Di Riccardo Davoli

Illustrato da Elia Novecento