Ma come? Adesso che è proibito anche solo mettere il naso fuori di casa senza una motivazione valida, ti metti a scrivere un articolo sulla movida e sulla vita notturna?

Capisco che possa sembrare assurdo, paradossale e fuori contesto e io stesso ci ho pensato a lungo prima di convincermi. Ma poi, insieme agli altri della redazione, ci siamo detti che un senso, parlare della notte in modo normale, ce l’ha.

Chi ha la pazienza di leggerci, sa che difficilmente, anche per via della periodicità e del tipo di storie che raccontiamo, ci occupiamo di attualità in senso stretto. Preferiamo partire da un tema ampio andando poi inevitabilmente a toccare aspetti legati alla quotidianità, dando magari una notizia in meno, ma forse suscitando una riflessione in più.

Quando scegliemmo il tema di questo numero, nessuno di noi poteva minimamente immaginare quello che a breve sarebbe accaduto e la ricaduta che tutto ciò avrebbe avuto sui nostri stili di vita e sul modo di vedere il mondo e i suoi problemi.

Ma, almeno noi, pur osservando e invitando a osservare pedissequamente tutte le disposizioni che ci sono state date per superare questo momento molto complicato, non abbiamo nessuna intenzione di arrenderci al fatto che nel futuro si dovrà vivere in questo modo. Senza incontrarsi, senza toccarsi, baciarsi e abbracciarsi. Senza poter stare insieme, di giorno come di notte.

Questo articolo quindi è scritto e pensato come se nessun maledetto virus stesse mettendo in ginocchio ‘sto mondo infame, con la profonda speranza che presto riprenderemo a parlare e, perché no, scontrarci sul tema della vita notturna a Trastevere. Sulla sua bellezza e sulle sue contraddizioni. E forse, dopo essere stati costretti a vivere troppe notti barricati in casa, daremo a quelle trascorse fuori un altro significato e un altro valore.

Cercando su Google la parola “movida”, tra i primi risultati compare la definizione che ne dà l’enciclopedia Treccani: «In Spagna, negli anni ’80 del Novecento, il clima sociale e culturale tornato vivace dopo la fine del regime franchista. 2. estens. Denominazione per lo più scherzosa della vita serale e notturna di una città, con riferimento specialmente a quella delle città spagnole, note per la loro animazione nelle ore tarde».

Non sembra una cosa brutta in assoluto, anzi.

Se però, accanto alla parola “movida”, si aggiunge “Trastevere”, il motore di ricerca carica contenuti dal tenore molto differente. Articoli su articoli, molti appartenenti a quel giornale che si fregia del soprannome “Prestigioso” (quello che definiva il Calisto un «rave bar», per capirci), con titoli del tipo: «Roma, movida violenta a Trastevere tra due gruppi di ragazzi: tre denunciati»; «Movida selvaggia, controlli a Trastevere: arresti e denunce»; «Trastevere, movida violenta. Blitz dei vigili dopo i roghi di auto e moto. Chiusa associazione culturale».

La domanda sorge spontanea: come può un processo di autentica rinascita che ha riguardato un Paese vissuto per decenni sotto una cappa che ne ha limitato i diritti e le libertà fondamentali, caratterizzato da un grande dinamismo culturale, economico e sociale, accompagnato da una vivace ripresa della vita mondana, diventare sinonimo di illegalità, degrado e guerriglia urbana se associato al nostro rione, così come ad altri quartieri romani?

#moVita, una ricerca realizzata tra febbraio e settembre 2018 da Link LAB con la direzione scientifica del sociologo Nicola Ferrigni e promossa dalla Questura di Roma ha studiato il fenomeno della “movida romana” centrando l’interesse su due aspetti: da una parte i comportamenti e le abitudini del cosiddetto “popolo delle discoteche”; dall’altra il livello di sicurezza percepita da chi frequenta questi luoghi, con particolare riferimento alla dialettica tra Forze dell’Ordine e sicurezza interna dei locali.

I dati ricavati dalla ricerca conducono certamente a delle riflessioni (il 40% dei frequentatori delle discoteche dichiara di recarsi nei locali avendo già consumato alcol, mentre il 13,8% afferma di aver assunto sostanze stupefacenti prima di andare a ballare), ma, che io sappia, a Trastevere le discoteche sono l’unica cosa che manca. E allora perché le viene associata costantemente la peggior accezione del termine “movida”?

Parlando con alcuni residenti trasteverini di “movida”, le risposte sono più o meno tutte dello stesso tenore. Secondo la signora Rita, “la vita notturna di Trastevere è uno dei suoi tratti caratteristici, ma la deriva che si sta prendendo lo sta riducendo a un luogo di bivacco e basta”. È d’accordo anche Lucia: “Bere un drink in compagnia è bello e piace a tutti, ma lasciare bottiglie rotte sui marciapiedi, urlare a squarciagola fino a notte fonda e vomitare davanti ai portoni mi pare un’esagerazione, oltre che un peccato per il decoro del rione». Ma c’è anche chi, come il signor Carlo, ricorda la Trastevere degli anni ’80: “Quelli sì che erano tempi tosti. C’era da aver paura a tornare a casa di notte. A Santa Maria facevano dieci scippi al giorno. Adesso sì, i ragazzini fanno più caciara ma io ormai vado a letto presto e nemmeno li sento. Per me possono andare avanti quanto je pare”.

Quasi tutti, però, chiedono più controlli, lo stop alla concessione di nuove licenze per la somministrazione di alcool e cibo, ma soprattutto maggiore dialogo e concertazione tra l’amministrazione e gli abitanti del rione.

Certamente, a proposito di amministrazione, l’argomento “movida” è stato al centro del nuovo Regolamento di Polizia urbana di Roma Capitale approvato dall’Assemblea capitolina nel giugno del 2019, che ha sostituito quello precedente, in vigore dal lontano 1946 e mai aggiornato.

Tra le norme più significative del nuovo testo, le più discusse sono state quelle che hanno riguardato le limitazioni alla vendita e al consumo di bevande alcoliche e quella relativa al cosiddetto Daspo urbano.

Nel primo caso si è voluto cristallizzare definitivamente i divieti già previsti nelle varie ordinanze stagionali che venivano di volta in volta prolungate, imponendo orari molto stringenti sia per la somministrazione sia per l’assunzione, con buona pace dei gestori dei piccoli locali privi di spazi all’esterno che hanno subito significative perdite nei loro incassi. L’altro è una misura di legge, introdotta per la prima volta nel “decreto sicurezza” promosso nel 2017 dall’allora Ministro dell’Interno Marco Minniti, con la quale i sindaci, in collaborazione con il Prefetto, possono sanzionare un soggetto che ha posto in essere un determinato comportamento illecito e poi vietargli l’accesso in determinate aree della città per 48 ore, che in caso di recidiva si allungano fino a 60 giorni.

Un provvedimento che, oltre a introdurre un pericoloso limite al fondamentale diritto alla libera circolazione dei cittadini all’interno del territorio dello stato, all’atto pratico, più che volto a garantire maggiore decoro e sicurezza nei vari territori della città, sembra invece improntato a colpire i poveri e gli indigenti, chi per strada ci dorme per necessità e non per scelta, chi vende abusivamente sotto ricatto o minaccia e non per recare scientemente un danno all’economia.

Il quadro generale risulta assai complesso, gli interessi in gioco sono molti e toccano sia la sfera sociale sia quella economica della nostra città e del nostro rione. Forse a mancare sono un indirizzo chiaro su come si vuole intendere il concetto di vita notturna e un’idea di città che sia, per quanto possibile, vivibile e fruibile a tutti.

C’è chi però ha le idee chiare su come risolvere la presunta “emergenza movida” a Trastevere. La consigliera comunale del M5S Gemma Guerrini, già nota per aver condotto una strenua battaglia, fortunatamente persa, contro l’arena del cinema in piazza San Cosimato, all’epoca dell’approvazione del nuovo Regolamento, pur votandolo, lamentò apertamente il mancato inserimento di una norma ad hoc che reprimesse severamente l’inquinamento acustico, facendo riferimento perfino al Codice penale. In pratica, una legge che obblighi al silenzio. Nella Spagna di Franco, prima che arrivasse la “movida”, funzionava più o meno così. Pensandoci bene, in alcuni casi, stasse zitti sarebbe già una buona soluzione.

Di Gianluigi Spinaci

Illustrazione di Matilde Adele

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