Il bar San Calisto come un saloon – Trastwest

 

Ne abbiamo parlato tante volte: passeggiando per Trastevere è difficile non far caso a come il Rione sia diventato tutto un tavolino; una superficie occupata da esercizi commerciali che attraverso il riempimento arrabattato delle pance, si preoccupano solamente di rimpolpare, rapidi rapidi, le tasche.

Il bar San Calisto

Ma c’è un luogo a Trastevere – anche di questo ne abbiamo parlato tante volte – che appare in una strana dimensione congelata nel tempo. Uno spazio illeso, come fosse protetto da una sorta di cupola invisibile che ne impedisce l’omologazione a ciò che gli sta intorno. È quasi superfluo dirne il nome, perché tutti sanno che quel luogo è il Bar San Calisto.

E lo sa bene soprattutto l’attore e regista romano Ivano De Matteo, che al San Calisto ci è cresciuto e che nel 2002  gli ha dedicato un coloratissimo documentario dal titolo “Barricata San Calisto”. Di recente, durante la seconda zona rossa del marzo 2021, De Matteo è tornato a riprendere il suo amato bar, restituendoci un cortometraggio dai toni surreali, forse gli unici davvero consoni al luogo più surreale di Trastevere.

Siamo nel vecchio West, da qui il titolo “Trastwest”, presentato quest’anno alla Mostra del Cinema di Venezia, nella sezione Giornate degli Autori. Proprio per la sua ambientazione, le musiche scelte dal regista non potevano non essere, oltre alle sonorità di Giovannelly, quelle di Ennio Morricone, trasteverino DOC che insieme a Sergio Leone De Matteo ha voluto omaggiare con questo peculiarissimo spaghetti western.

18 minuti di follia vedono susseguirsi immagini rubate dal regista con un iPhone XR, che senza sceneggiatura preesistente le ha riscritte poi al montaggio. Ed eccolo lì il San Calisto, un saloon che ingloba pellegrini e persone di ogni tipo.

L’idea di Trastwest

L’idea di Trastwest, ha raccontato De Matteo, è nata da una scena a cui il regista ha assistito nelle sue passeggiate in zona rossa e cioè Massimo e Roberto, habitué del San Calisto, che usando delle banane al posto delle pistole, si sfidavano a duello. Come se nella tristezza e nel grigiore di una città svuotata i due si fossero detti: “Giochiamo che siamo due cowboy, che Trastevere è il vecchio West e al posto delle pistole usiamo queste due banane”.

E infatti oltre alla modalità istintiva e battagliera di girare, forse è proprio questo quello che ci piace di più e cioè il fatto che Trastwest coglie a pieno una delle caratteristiche più peculiari del San Calisto: quella di essere un’oasi di inoperosità, un luogo che si sottrae alla logica della velocità e della produttività ma che si abbandona, al contrario, a quella del gioco, che deve durare il più possibile, rallentando il tempo come avremmo voluto tutti fare da bambini. Chissà, forse è anche per questo che De Matteo ha scelto il rallenty per raccontare tutto…

In Trastwest il sole cocente si abbatte sui sampietrini, e c’è davvero un’aria allucinata: le facce di Stefano e Sara, due strani amanti al ciglio della strada, si allargano e si deformano mentre sentiamo  il caldo secco del lontano Ovest, ma al posto del Mississipi c’è il biondo Tevere. Due suore camminano, la macchina dei carabinieri gira come fosse il cavallo intransigente di uno sceriffo.

Certo mancano i cactus ma ecco che appare un uomo vestito di pelli e piume: è Maurizio, lo Sciamano di Trastevere. Si accompagna a Lynda, matrona del quartiere. D’altra parte questi volti non hanno nulla da invidiare a Clint Eastwood, Eli Wallach o Lee Van Cleef, e De Matteo sa davvero come riprenderli, come restituirne segni e sfumature.

Stile di ripresa

Li affronta con il suo iPhone, sfida per ogni regista, data l’incapacità dello strumento di cogliere la profondità (ne parlavamo qualche numero fa anche con Gipo Fasano, regista de Le Eumenidi). Profondità che De Matteo però sa restituirci, attraverso tutto l’amore che prova per i suoi protagonisti e per le storie scritte sui loro volti.

 

 

Di Alice Catucci

Illustrato da Valerio Grigio Paolucci

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