Una foto per una storia 3

Ecco una foto a cui sono particolarmente affezionato, il fiume rappresenta una parte importante della mia adolescenza e conservo gelosamente ricordi di esperienze vissute pescando per diletto lungo il suo corso. Vado a casa del Sor Arvaro De Rossi, 93 primavere, “l’urtimo fiumarolo trasteverino”; conosco dove abita fin da bambino, perché appendeva le nasse per le anguille ad asciugare alle finestre, è un bel sabato mattina, la figlia Irene è sotto casa e mi accompagna su.

“Buongiorno Alvaro, ho ritrovato questa foto del ’74, scattata al doposcuola, chi c’è sulla barca?”

“Semo io e mi’ fijo Goffredo, mentre recuperamo le ciriole (anguille) dai martavellini (nasse), ho cominciato a 40 anni, prima facevo er mestiere de mi’ padre, er restauratore de mobbili antichi… e c’ho quattro fiji, Goffredo, Augusta, Mara e Irene”

Irene: “è più bravo come restauratore che come pescatore”, risata generale!

“…53 anni fa feci domanda ai carabinieri, all’INPS e all’ufficio pesca de via Cavour, presi i permessi e cominciai a guadagna’ bei sordarelli, c’avevo circa trecento martavellini e li mettevo senza boette, me ricordavo do’ stavano dai segnali esterni sui murajoni de fiume, soprattutto l’anelli de metallo, che chiamavo campanelle, e da ‘e scritte”

“Infatti mi ricordo che quando venivamo a pescare dalle parti tue, da ponte Garibaldi a ponte Mazzini, cercavamo di ricordare dove li mettevi di solito per non incagliare le lenze, oppure pescavamo con la mazzangola che è senza ami e non correvamo rischi. Le ciriole le regalavamo ar Sor Nicola che le spurgava e poi se le vendeva anche lui. Ho un ricordo nitido della prima volta che lo vidi: mi aveva colpito il particolare che pescava con una canna di bambù ed al posto del mulinello aveva un barattolo di pomodori vuoto dove avvolgeva la lenza”

“Si, ‘na brava persona, abitava ar Leopardo e pescava spesso a Ponte Sisto, ma er barattolo era de schiuma da barba”

“Me fido: ubi major… Una curiosità: le mettevi le lumachine per attirare le ciriole dentro i martavelli?”

“All’inizio si, poi però me so’ reso conto che entravano perché risalivano l’affilatura de corente e che nun servivano. A Fiume lavorava pure er Pizzarda de vicolo Bologna, che quanno era staggione metteva ‘a ruota per le lacce (cheppie: pesci anadromi che risalgono i fiumi in primavera)
Paolo Lazzari, invece, pescava co’ ‘a “bilancia a forca”, un sistema che usava ‘a rete come ‘na scavatrice sotto l’erba: dovevi esse molto esperto, perché bisognava conosce do’ stava l’erba sommersa, do’ s’annisconneveno li pesci e governa’ bene la barca pe’ annacce sotto co’ ‘a rete.

Me piaceva pure anna’ a caccia, c’avevo ‘na cagnetta che ho chiamato Sarapica perché c’aveva un carattere particolare: pensa che rubbava li tordi all’artri cacciatori e li riportava a me; ‘a madre era ‘na pointerina che m’è scappata durante er calore, è stata montata da un cane lupo e Sarapica è sortita fori co’ ‘a capoccia da pointerina e er corpo da pastore tedesco… era troppo forte!

Durante er lavoro me so’ versato tante “marchette”, ai tempi c’era ancora ‘a lira; quanno che annai ‘n pensione all’ufficio me dissero: “33 mijoni” io me girai pensanno che erano de quello de dietro, capii che ereno li mia quanno me disse: “li prende subito signor De Rossi?”

“Subito? De corsa, prima che ce ripensate!”

Starei a parlare con lui per ore, ma è ora di pranzo, a mezzoggiorno in punto si pranza, saluto la signora Silvana, 90 anni, che è in finestra e mi dice: io te potrei raccontà vita morte e miracoli de tutti quelli che so’ passati qua sotto” ” ‘nartra vorta signo’ mo’ è ora de pranzo, e Alvaro nu’ aspetta ”

Scendo le scale sempre più pervaso da quel sentimento, quel forte senso di appartenenza, che rende noi trasteverini come una grande, eterogenea e meravigliosa famiglia.

 

Di Gianni Mura

Fotografia di Gianni Mura

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