Il 22 luglio del 2017 ci siamo addentrati all’interno della Festa de Noantri, all’interno di quella parte più misteriosa e più vera, l’unica parte della festa che ancora esiste e che ancora ha senso di esistere perché fa il suo dovere, fa comunità.

Qualcuno di noi voleva guardare cosa succedesse all’interno di quei luoghi che danno vita alla festa religiosa, con le sue processioni, e chi fossero le persone che la animano.
Di noi, qualcuno è trasteverino di nascita, qualcuno di adozione, e per ognuno di noi la Festa de Noantri è sempre stata qualcosa, bene o male, del passato.

– “Ma io ‘sta festa de noantri, bo, nun l’ho mai vista esse ‘na cosa bella”.
– “Perché tu nun ce stavi ai tempi giusti…”.

Così ci ripetono sempre, abbiamo circa trent’anni, non più pochissimi, eppure non abbiamo mai visto la festa come doveva essere. Tutto ciò però riguarda l’aspetto laico di questa ricorrenza trasteverina. Infatti, nella sfera religiosa quel qualcosa di magico, di comunitario, di originario e originale è rimasto. È diminuita l’affluenza, sicuramente, il dato anagrafico si è alzato notevolmente, i giovani sono una rarità, ma il dato sentimentale, quello che noi ricercavamo, è rimasto intatto e puro.

Ci raccontava Fabrizio, storico barista trasteverino, che il passaggio fondamentale, ciò che ha davvero segnato il passaggio, è stato un momento in cui la festa ha smesso di essere un atto spontaneo. Sono intervenute le amministrazioni e le organizzazioni, poi i bandi e gli affidamenti, finché non si è perso tutto ciò che la festa era: spirito.

Ma un piccolo nucleo c’è, un piccolo nucleo di spontaneità e verità c’è ancora. Una sessantina di persone, non di più. Sono i confratelli dell’Arciconfraternita di Maria Santissima del Carmelo. Quella domenica 22 luglio, armati di buona volontà e macchine fotografiche, siamo andati timidamente a bussare alla porticina della chiesa di largo S. Giovanni de Matha, con un particolare obiettivo in mente: documentare, capire, osservare gli uomini e le donne che fanno questa festa. La processione in sé la avevamo vista tante volte, sempre da lontano, sempre distaccati. Questa volta volevamo vedere cosa c’è dietro: i preparativi, l’attesa, le fatiche, i litigi.

Abbiamo bussato e dalla finestra si sono affacciati due o tre confratelli, già vestiti di bianco. Ci hanno sarcasticamente interrogato sulla nostra fede, sulla nostra età e ci hanno fatto subito entrare.

– “Ao, si nun hai più de cinquant’anni qua dentro nun se pò entrà!”

Se c’è una cosa che abbiamo capito immediatamente è che dentro alla chiesa, durante i preparativi, bisogna anche divertirsi, prendersi in giro, fare battute. Non molto tempo dopo, sarebbero entrati in un grande vortice di fatiche e di sacrifici e lo avrebbero fatto con tutta la serietà del mondo.

Eravamo finalmente all’interno ed eravamo liberi di fotografare e domandare quanto volevamo. Abbiamo assistito ai cambi d’abito dei confratelli, alla preparazione e organizzazione della processione imminente.

Si litigava anche: soprattutto fra i più anziani. Tutti là dentro vogliono decidere, non per amore del comando, ma per amore della responsabilità e per la smania che la festa, la celebrazione della Madonna Fiumarola, riesca alla perfezione.

Tra abbracci, battute, pettegolezzi e frecciatine, una vera comunità di persone lavorava con passione ad un obiettivo comune. Abbiamo scoperto che in realtà si lavora tutto l’anno: ogni sabato i confratelli si riuniscono per prendere decisioni, per occuparsi della statua della Madonna.

Infatti il culto di Maria del Carmine non si esaurisce nella processione della festa trasteverina. Innanzitutto ci sono almeno tre processioni, di cui una la mattina prestissimo che è forse la più bella: in una Trastevere semivuota, dove si respira un’aria antica, di tradizione.

Ma non solo, quest’anno ad esempio la statua della Madonna è stata portata in Corsica. Nei confratelli e nelle loro azioni abbiamo ritrovato una Trastevere che pensavamo scomparsa, non del tutto ma quasi.

Invece no. Abbiamo ritrovato i personaggi della Roma di Moravia, della Roma di Amendola e Giuliani, persone alla mano, con la battuta facile e tanto affetto. Ciò che ci ha colpito tantissimo è che sia tutto tranne che un circolo chiuso: noi siamo stati accolti da subito come fossimo dei loro.

Casomai si sentono chiusi dall’esterno, da ciò che il rione e Roma stessa stanno diventando. I confratelli, che proteggono e portano la Madonna, sono le persone comuni, lavoratori, uniti dalla fede. Baristi, tassinari, poliziotti, impiegati.

Le confraternite prima erano all’ordine del giorno, o meglio lo erano le attività di corporazione. In parte lo siamo anche noi del Ventriloco: dei ragazzi, per lo più lavoratori, che amano le arti e la cultura. C’è un palazzo in via della Luce dove alcune figure di bovini sono incastonate nel cornicione: era un palazzo costruito da macellai, c’era una corporazione di macellai.

Dietro le quinte della processione abbiamo scoperto una grande apertura, una grande semplicità. Indossata la tunica bianca si diventa tutti uguali, si diventa parte di un tutto più grande. E chi la tunica non ce l’ha? Come noi? Uguali a loro, solo con meno responsabilità.

Il fotografo della confraternita ci ha presi e ci ha detto: “Ve faccio vede un posto” – noi lo abbiamo seguito e ci ha portati in un piccolo pertugio dal quale si poteva fare una bellissima fotografia dall’alto.

Questa, tra fotografi, è una rarità. Apertura, semplicità, condivisione, senso dell’ironia, gusto del gioco e poi, infine, una grande serietà ed un senso del sacrificio incredibile. Forse non tutti sanno, ma con le foto di questo libro se ne accorgeranno, che questi uomini si impegnano in uno sforzo fisico spaventoso, trasportando la macchina processionale dal peso di una tonnellata e sei quintali circa.

C’è un’organizzazione ben precisa dietro eppure ci sono momenti in cui abbiamo pensato “non ce la fanno”, e invece ce l’hanno fatta. Aiutandosi a vicenda, caricandosi, pregando. Quando la statua è uscita per la prima volta dalla chiesa il clima era cambiato completamente rispetto a tutte le preparazioni. L

a serietà era assoluta, la concentrazione totale. Tutti parte di una cosa sola. Loro stessi erano un prolungamento della statua. Poi, appena fuori, un altro sforzo, si tendono le braccia verso l’alto, la statua ancor più vicina al cielo e l’urlo “Viva Maria”.

Certo, siamo a Roma, a Trastevere, qualcuno dei confratelli non può non rispondere “Ma quanto pesi Marì?”, in tono affettuoso. E così nell’amore collettivo, tra la fatica, la passione e l’ironia, è partita la processione, la prima e la più grande. Noi, dentro e fuori allo stesso tempo, ci siamo appassionati a quegli uomini che custodiscono una tale tradizione, un tale amore.

Dal pomeriggio afoso al calare del sole il saluto alla Madonna si è completato fra il sudore, le risa e quel pizzico di caciara romanesca che non guasta mai. Ma non era affatto finita qui, La settimana seguente, sabato 30, ci aspettava il famoso percorso sul fiume.

La statua, già trasportata al Circolo Canottieri Lazio attendeva i suoi confratelli, che la andassero a prendere per riportarla a casa. Ci siamo ritagliati uno spazietto sul battello e fra cori, stornelli romaneschi e litigi bonari sulla Roma e la Lazio, siamo arrivati.

Il verace popolo trasteverino invadeva l’aristocratico spazio dei Canottieri Lazio per riaccompagnare a casa il suo simbolo religioso.

-“Ao io pure vojo salì sulla barca”
-“Anvedi questi, vojono tutti salì sul carro, e vabbè sali va, oggi è na festa!”

Capiti gli spazi disponibili, navigando nei suggestivi pertugi del nostro fiume, in mezzo a folle di gente che si affacciavano dai ponti, culminando su Ponte Sisto dove tutti i trasteverini si erano accalcati, la statua della Madonna tornava nel suo nido, coccolata e venerata.

I confratelli stanchi e appagati si potevano andare a godere un bel piatto di pastasciutta tutti insieme, come una famiglia. L’indomani un’ultima processione, forse la più romantica, la mattina alle 6:00, in una Trastevere semivuota e bellissima.

L’ultimo saluto dell’anno, da una comunità a un’altra, o forse la stessa grande ed eterogenea: la comunità trasteverina.