Trentatré giorni. Come l’anni de Cristo. E magari manco è ‘n caso. Tanto (poco) è durato er pontificato de Giovanni Paolo I, l’undicesimo più corto de sempre. Talmente breve che pe’ ritrovà ‘n papa che ha regnato de meno tocca arivà a Leone XI, ner ‘600.

A ‘sta botta, invece, stamo nell’anni Settanta, più precisamente ner 1978, e nun è ‘n anno come l’artri. A settembre le Br hanno ammazzato Aldo Moro, er presidente della Dc, e mai come in ‘sto momento la tenuta der paese è a rischio. Semo ner pieno dell’anni de piombo.

Pure la Chiesa nun se la passa bene. I risultati dei due referendum sur divorzio e sull’aborto hanno lasciato ‘no strascico pesante, che divide sia li fedeli sia la Curia. ‘Nsomma, quanno er 6 agosto a Castel Gandolfo more Paolo VI, a Roma l’aria che se respira è bella pesante.

Er conclave è velocissimo e se conclude dopo appena quattro votazioni, tutte fatte lo stesso giorno. Alle 19:18 der 26 agosto 1978, le vetrate della loggia centrale de San Pietro se spalancano: er novo papa è stato eletto. Subito dopo compare er grande drappo rosso co’ lo stemma papale e er protodiacono, er cardinal Felici, annuncia l’Habemus Papam. Co’ 101 voti su 111, er quorum più alto mai raggiunto ner ‘900, er 263° successore de Pietro è Sua Eminenza Albino Luciani, er patriarca de Venezia. È er primo della storia a sceje un doppio nome: se chiamerà Giovanni Paolo.

E dì che er cardinale nun se lo aspettava pe’ niente d’esse nominato papa. Lo stesso giorno dell’entrata in conclave, era annato dar meccanico pe’ fasse riparà de corsa la sua vecchia macchina che je se era rotta mentre stava a venì a Roma. “Mi raccomando, fate il più presto possibile. Dovrò ritornare a Venezia tra pochi giorni e non saprei come fare a recuperare la vettura se dovessi lasciarla qui…”, aveva detto cor suo accento der nord est er futuro santo padre.

Nonostante er plebiscito, la Curia vaticana nun fu molto tenera e rispettosa pe’ er novo papa. Tanto pe’ fà ‘n esempio, quanno aveva fatto alcune aperture all’uso delle contraccezioni, semplicemente era stato bello che ignorato. Pure er giornale ufficiale, L’Osservatore Romano, se metteva a corregge sistematicamente i discorsi che pronunciava. Quello preferiva la prima persona singolare ar pluralia maiestatis: bene, come si nun fosse niente, li redattori trasformavano l’“io” in “noi”.

Ma c’era ‘n fatto che più de tutti nun lo rendeva amato da parecchi: Giovanni Paolo I voleva ‘na Chiesa povera. In particolare, nun j’annava giù come veniva gestito lo Ior, l’Istituto per le opere di religione, mejo noto come la “Banca vaticana”. Er presidente era all’epoca er cardinal Paul Marcinkus, partorito ner 1922 a Cicero, ‘na borgata de Chicago, la stessa, fatte conto, ‘ndo era nato er gangster Al Capone.

Li rapporti tra li due prelati nun erano boni già da prima dell’elezione de Luciani. Ner 1972, quann’era ancora patriarca a Venezia, lo IOR s’era venduto er 37% della proprietà della Banca Cattolica del Veneto, e ne aveva perso er controllo. Fino a quer momento, la Banca Cattolica era stata er punto de riferimento finanziario de tante piccole aziende della regione, che s’appoggiavano all’istituto pe’ li propri bisogni.

Quanno Luciani era venuto a Roma pe’ chiede spiegazioni, a daje udienza era stato popo Marcinkus, che l’aveva trattato a pesci in faccia, come se tratta ‘n poro pretino de campagna ‘n po’ sfigato. Mo però le cose erano cambiate. Er pretino s’era fatto papa, e er cardinale americano se stava, pe’ così dì, a cacà sotto.

L’idee de Giovanpaolo so’ chiare già dar titolo che avrebbe voluto dare alla sua enciclica, I poveri e la povertà nel mondo, che nun ha avuto però er tempo de scrive. Nun se capacita de come l’Occidente possa mostrà tanta opulenza e sfarzo davanti alla condizione de li paesi e de li popoli del sud der pianeta, e parla apertamente de garantì er giusto salario ai lavoratori.

Durante er suo breve pontificato ha potuto fà solo quattro udienze, tutte riunite in un solo messaggio universale. La prima la dedica ar concetto de umiltà, la seconda alla fede, in cui recita pure un sonetto de Trilussa, la terza alla speranza e l’ultima, er giorno prima de morì, alla carità.

Semo arivati alla sera der 28 settembre. Dopo ave’ lavorato e studiato pe’ tutta la giornata, er papa se mette a decretà alcune nomine e s’incontra co’ alcuni cardinali. Alle 20 cena coi suoi segretari pe’ annà poi a letto verso le 21:30, a leggere. Alle 11 der mattino seguente, n’edizione straordinaria dell’Osservatore Romano riporta ‘n comunicato che sconvolge er monno: “Questa mattina, 29 settembre 1978, verso le 5.30, il segretario privato del Papa, non avendo trovato il Santo Padre nella Cappella del suo appartamento privato, come di solito, lo ha cercato nella sua camera e lo ha trovato morto nel letto, con la luce accesa, come persona intenta alla lettura. Il medico, dr. Renato Buzzonetti, immediatamente accorso, ne ha constatato il decesso, avvenuto presumibilmente verso le 23 di ieri, per infarto miocardico acuto”.

Ed è popo da ‘sto comunicato, ‘ndo se indica come l’autore della scoperta er monsignor Magee, che se iniziano ad alimentà i sospetti sulla morte de Luciani. Già, perché la prima a imboccà nella camera der papa è ‘na suora, Vincenza Taffarel, preoccupata dar fatto che nessuno je risponneva quanno quella stava a bussà pe’ portà la colazione. Pareva brutto, ‘nfatti, dichiarà pubblicamente che ‘na donna c’avesse libero accesso alla camera da letto der Santo Padre.

Da lì, le teorie complottistiche se iniziano a sprecà. Anche perché, alcuni giorni prima, sulle colonne de OP, er settimanale diretto da Mino Pecorelli, ammazzato cinque mesi dopo a colpi de revolver, era stato pubblicato ‘n elenco de omini de Chiesa che facevano parte della massoneria. Tra ‘sti nomi ce stavano pure otto cardinali co’ ruoli chiave in Vaticano. Uno de questi era proprio er cardinal Marcinkus.

Li sospetti se vanno a concentrà pure sulle condizioni de salute der papa e sulla causa che avrebbe scatenato er coccolone, co’ le fonti interne alla Chiesa che se affrettano a dichiarà che er Santo Padre aveva accusato dei dolori ar petto durante er pomeriggio der 28 settembre. ‘Na cosa è certa: sur corpo de Luciani nun è mai stata svolta n’autopsia.

A cavalcà la tesi der complotto è soprattutto ‘n giornalista de inchiesta britannico, David Yallop, che pubblica ‘n libro ‘ndo dice apertamente che Giovanni Paolo I è stato ammazzato pe’ colpa delle sue idee innovatrici, e in particolare pe’ quanto riguarda li traffici bancari e finanziari der Vaticano. Secondo Yallop, l’omicidio sarebbe stato messo in atto da quella stessa massoneria deviata che aveva denunciato Pecorelli nell’articolo de OP, e perpetrato co’ n’assunzione inconsapevole de ‘n medicinale che in dosi troppo forti porta proprio all’infarto.

‘Sta teoria, portata avanti a dì er vero senza prove concrete, viene spernacchiata da quasi tutti i vaticanisti, cor giornalista inglese che viè additato de esse ‘n complottista in cerca de fama.

La verità è che de punti poco chiari in questa storia ce ne stanno parecchi, e dimostrà come so’ annate davvero le cose è impossibile. De sicuro, de fatti strani e paurosi, dentro le mura vaticane, ne so’ successi parecchi in quell’anni. Basta pensà al rapimento de Emanuela Orlandi o all’attentato der successore de Luciani, er papa polacco, de cui magari parleremo in antri numeri de ‘sta disgraziata rivista. Nun lo sapremo mai come e perché se n’è annato Giovanpaolo I. Come ar solito, quanno se parla de Santa Romana Chiesa, de certezza ce ne sta una sola: morto ‘n papa se ne fa sempre ‘n antro.

Di Er Principessa

Illustrato da Valerio Grigio Paolucci