Cosa dire di una guerra? Cosa dire di un conflitto così vicino a noi, che pure siamo tranquilli a casa, e guardiamo con preoccupazione le immagini al telegiornale, sì, ma pure viviamo la nostra consueta normalità. Da dove iniziare per argomentare qualcosa che in così tanti credevamo essere ipotesi estinta? Una guerra in Europa, ma quando mai. “La guerra è indispensabile per difendere la nostra vita da un distruttore che divorerebbe ogni cosa; ma io non amo la lucente spada per la sua lama tagliente, né la freccia per la sua rapidità, né il guerriero per la gloria acquisita. Amo solo ciò che difendo”. Ecco da dove possiamo iniziare, da un concetto semplice, dalle parole di Tolkien; che nel 1915 partì volontario per la Grande Guerra, arruolato nei Lancashire Fusiliers, e nella battaglia della Somme perse due dei suoi migliori amici.

Le immagini di quella guerra lampo, che tutti, anche noi analisti militari faticavamo anche solo ad immaginare come una via percorribile da una superpotenza nucleare come è Mosca nel XXI secolo, ci stanno mostrando la strada che minaccia di portarci all’apocalisse. All’impiego delle armi “Fine di Mondo” del fanatico del Dr. Stranamore. Perché non è uno scherzo adesso: la triade nucleare della Federazione Russa è stata allertata, i sottomarini lancia missili, come i missili Icbm (missile balistico intercontinentale) con testate multiple Mirv, tecnologia che consente ad un unico vettore di colpire fino a quindici diversi obiettivi simultaneamente con la potenza di Hiroshima, sono state mobilitate. E di conseguenza, questo porta alla mobilitazione degli stessi apparati di difesa nella NATO. Che in gergo dovrebbe rispondere all’eventualità di un first-strike con un second-strike: una contro-risposta immediata sul quale si fonda la strategia della deterrenza che ha scongiurato per mezzo secolo lo scongelamento della Guerra Fredda.

E intanto vediamo i carri armati T-80 ucraini colpiti da sabot ben mirati, lasciati fumanti e in mezzo alle autostrade. E quelli russi più avanti, che hanno terminato la benzina, o che sono stati centrati dai lanciarazzi Javelin di produzione americana che Trump decise di concedere all’allora neoeletto presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Il comico che meno di dieci anni fa suonava il pianoforte con il cazzo in televisione, e che oggi è asserragliato in un bunker, e continua a ripetere che il popolo ucraino non darà quartiere alla forza d’invasione russa; che si difenderanno tutti fino alla morte.

E ancora elicotteri d’attacco russi Ka-52 che vengono abbattuti e abbandonati in mezzo alle campagne. Razzi che illuminano la notte e cadono nel centro delle città poste sotto assedio, e soldati più giovani di noi – che siamo ancora ritenuti giovani in Occidente – che si arrendono, escono dalla boscaglia con le mani alzate e sventolano drappi bianchi; o altri vengono fatti prigionieri nelle imboscate, o perché rimangono isolati dalle formazioni principali. Non possiamo dire quando verranno liberati. Tutto questo sta accadendo sotto gli occhi dei civili, che con i loro cellulari condividono scene di guerra dove prima condividevano i loro balletti, gli ultimi acquisti, le pizze con gli amici e le foto dei tramonti. Instagram, Tik Tok, Telegram sono diventati una piattaforma utile per guardare con i propri occhi la ferocia della guerra moderna, ma anche un oggetto d’interesse l’intelligence, che infatti implora i civili di non condividere storie che potrebbero compromettere la segretezza di alcuni spostamenti di truppe. Sebbene per quello ci siano le immagini scattate dai satelliti. Quelli che avevano sorpreso 190mila soldati russi attestarsi lungo 300 chilometri di confini con l’Ucraina, ingannando il mondo con una “false flag”: le finte esercitazioni che nascondono la mobilitazione di una forza d’invasione. Ci siamo cascati tutti. Anche s non volevamo credere ai nostri occhi. Fino all’ultimo.

Nell’Ucraina dove è stata istituita la legge marziale e il coprifuoco – coprifuoco vero, per ragioni vere, per le bombe – sono stati richiamati alle armi tutti uomini di età compresa tra i 18 e i 60 anni che hanno prestato servizio militare. Una pratica assai più diffusa nelle Nazioni dell’Est d’Europa, rispetto ai nostri Paesi così quieti e pacifici, lascia spazio a questo unico tetro pensiero nella mia mente: “Fosse accaduto due anni fa a noi, io, mio fratello e mio padre saremmo rientrati nel criterio. Saremmo andati tutti in guerra insieme”. Ha fatto riflettere me, ma dovrebbe far riflettere tutti credo.  Tutti noi che stiamo al caldo, e dobbiamo solo pensare al costo del petrolio, a quello della bolletta del gas, al fatto che a causa delle sanzioni non “arriveranno i russi”.. per le vacanze però, solo per le vacanze. A Kiev, a Kharkiv, a Maripol, dove i civili ucraini passano la notte scandita dalle sirene antiaeree nella metro per scampare ai bombardamenti meno “chirurgici” di quanto si vorrebbe non sentir arrivare i russi fa tutto un altro effetto. Eppure non sono tanto distanti da noi. Come non lo sono i polacchi, i lettoni, gli estoni: i civili che verrebbero protetti dal articolo 5 del Patto Atlantico e per questo vedono attraversare le loro terre e i loro cieli da carri armati, blindati, aerei, soldati, americani, inglesi, tedeschi, e anche italiani. Per mandare un messaggio a Putin, per ricordargli che la Nato difenderà ogni stato membro costi quel che costi. E questo dovrebbe terrorizzarci davvero. Se l’escalation arrivasse davvero a quel punto, potremmo trovarci anche noi come gli ucraini. Ma non ancora. Confidiamo in questo, speriamo di non sbagliarci questa volta.

Un amico che mi aveva chiesto di raggiungerlo a Kiev appena due giorni prima che iniziasse l’invasione, ha condiviso un video della frontiera slovacca dove ha riparato con le persone che doveva evacuare. Ci sono 8 chilometri di fila e ventisette ore d’attesa per lasciare il paese. Gli uomini in età militare non vengono lasciati passare. Devono rimanere o combattere. Sono cose che pensavamo di aver cancellato dalla nostra storia, cose che avvengono in terre lontane, come l’Afghanistan e l’Iraq, come la striscia di Gaza, come la fascia del Sahel o la Libia. Che non sono poi così lontane, ma ci toccano meno da vicino, perché non sono Europa, e soprattutto non sono realtà che con eserciti che non possono arrivare colpire le nostre belle case con missili a medio o lungo raggio, con bombardieri strategici supersonici e con armi nucleari. L’esercito russo potrebbe eccome. Ma non va disumanizzato per questo. Non va compiuto questo errore. Il soldato russo non è un nemico, è solo un uomo che fa il suo mestiere e si terrà i suoi demoni per sempre. Come i veterani della Cecenia che rasero al suolo Groznyj, lasciando in piedi un palazzo solo, quasi. Assurdo pensare che oggi le forze paramilitari cecene stiano entrando in Ucraina a fianco delle truppe di Mosca. Comandante da un dittatore stabilito da Mosca, che li ha mandati alla guerra indossando stivali di Prada da millecinquecento euro sotto la mimetica. Tutto assurdo, anche solo saperlo. Eppure non è meno assurdo della notizia che Zelensky ha istituito una Legione Straniera, una brigata internazionale come quella che venne formata in Spagna nella guerra civile del ’36 per combattere fascisti e nazisti che avevano affiancato le falangi franchiste.

Leggendo Hemingway e Kipling, pensando a Limonov, al giovane Jünger, negli anni passati ho sempre creduto che avrei preso parte ad un’avventura simile se ne avessi avuta l’occasione. Oggi mi rendo conto che me ne manca il coraggio. O almeno la sincera motivazione. Forse sono invecchiato. O i miei ideali di libertà sono stati traditi dall’evidenza dei fatti, che trasversalmente avvelena la quotidianità e non mi convince a parteggiare per niente e nessuno. Putin non è ancora un mio nemico. La stessa Ucraina ha contribuito alla tensione. E non meno lo hanno fatto gli Stati Uniti che veicolano l’Alleanza Atlantica con la propria politica geostrategica. “La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi”, ci ha insegnato Von Clausewitz. E non ci sono buoni e cattivi in chi la combatte lungo i fronti. Solo morti e vivi al suo lento terminare. E orfani, e disturbi post traumatici da stress; tante lacrime e tanta distruzione che eviteremmo volentieri nel raggiungimento pigro delle nostre utopie. Perché le guerre sono evitabili, ma siamo troppo distratti dai nostri affari nazionali per curarcene, almeno finché non sentiamo, seppure distanti, le sirene antiaeree e il rombo del cannone. Finché non leggeremo il bollettino quotidiano delle perdite. Forse in quel culmine, in quella remota evenienza che tutti siamo scongiurando, faremo allora tutti nostre le parole di Tolkien. Dovranno riguardarci più da vicino per capirle fino in fondo. Se dovremo difendere ciò che amiamo, la nostra idea di libertà, ciò che ad alcuni lo so, non piace chiamare patria, forse ci troveremo tutti nelle file dei volontari come oggi ingegneri, dentisti, commercialisti, giornalisti, coltivatori di grano, sono in fila di fronte ai centri di reclutamento sparsi in tutta l’Ucraina. Le donne e i bambini ucraini che preparano bombe molotov per respingere le offensive che incombono contro le loro città, infiammano il cuore. Sono certo che anche la gente d’indole naturalmente pacifica, che nutre l’idea delle paci semplici, di fronte alla minaccia della propria famiglia e della propria casa, la penserebbe come me. Farebbero come loro. Ma guardiamo piuttosto ai negoziati.

E speriamo bene…

Di Davide Bartoccini

Illustrazione di Valerio Grigio Paolucci