La Scuola di Musica Popolare di Testaccio

Esistono luoghi dove questa esortazione non è un invito coatto a non disturbare con il clacson nel traffico. Piuttosto, la minaccia si trasforma in un invito, assumendo un significato letterale: suona e poi canta se ti piace. Se sei sveglio hai già capito, sto parlando delle scuole di musica.

La musica è il primo linguaggio dell’uomo. La voce è il primo strumento che suoniamo alla nostra nascita. Tutti possono imparare a suonare uno strumento o a cantare, ma per farlo c’è bisogno del posto giusto e di qualcuno che sappia insegnare.

A questo scopo, nel lontano 1870, il Cardinale Visitatore Camillo Di Pietro decretò ufficialmente l’apertura del primo istituto musicale romano: il conservatorio di Santa Cecilia. Il termine conservatorio deriva dall’avviamento al mestiere di musicista per gli orfani e i trovatelli, con lo scopo appunto di “conservare” la musica e tramandarla.

Cento anni dopo – ci racconta il presidente della scuola Roberto Nicoletti – in una società completamente rivoluzionata, anche il linguaggio per tramandare la musica aveva bisogno di essere messo in discussione. Il conservatorio non era proprio il luogo adatto per provare qualcosa di nuovo, ma restava l’unico posto dove imparare a suonare uno strumento in città. E fu così che nel 1975, un gruppo di musicisti decisero di occupare i primi locali in via Galvani per dare sfogo a un’esigenza di sperimentare e provare a cambiare i metodi di apprendimento.  Ideare un progetto di scuola antiaccademica, eterodossa rispetto alla tradizione di insegnamento dell’epoca. Nacque così la Scuola di Musica Popolare di Testaccio.

L’attuale sede della scuola si trova in piazza Orazio Giustiniani. L’ingresso principale è proprio sotto la statua del toro dell’ex mattatoio di Roma, realizzato nel 1888 su progetto dell’architetto Gioacchino Ersoch e dismesso nel 1975. Per quasi cento anni quelle mura hanno sentito i rumori della macellazione delle carni e oggi invece ascoltano il suono di un violino o di un pianoforte. E qui involontariamente si strizza l’occhio al mondo dei vegani.

Torniamo a noi, la SPMT è una scuola senza fronzoli, concreta, libera, scanzonata e allo stesso tempo rigorosa nella preparazione dei suoi allievi. Il principio, alla base della sua istituzione, mantiene una visione della musica come una questione non elitaria ma popolare. Appunto, la Scuola Popolare di Musica di Testaccio nasce con l’obiettivo del fare musica per tutti: professionisti e pensionati, ragazzi e anziani, musicisti esperti e principianti. Poveracci e ricchi non li ho citati, perché anche se le rette sono ferme da anni, i poveracci veri non possono permettersi di pagarle (sic).

Non persegue l’eccellenza come unico scopo, ma prova a raggiungerla dal basso, dalla diffusione più larga possibile. Per citare un vecchio saggio (Aristotele), “la musica, non va praticata per un unico tipo di beneficio che da essa può derivare, ma per usi molteplici, poiché può servire per l’educazione, per procurare la catarsi e in terzo luogo per la ricreazione, il sollievo e il riposo dallo sforzo”.

La scuola può essere descritta come un grande laboratorio culturale. C’è spazio per il confronto e ciascuno può realizzare il proprio desiderio di avvicinarsi a uno strumento. L’approccio laboratoriale è il marchio di fabbrica della Scuola. Un metodo di insegnamento per sostenere la conoscenza delle diverse espressioni musicali, ma soprattutto per favorire l’incontro tra persone, per rimediare alla solitudine. Suonare con gli altri è, in definitiva, lo scopo più profondo di chi fa parte di questa scuola.

La musica è un linguaggio universale che ci avvicina al bello. Ci spinge a raggiungere un obiettivo, attraverso un sacrificio. Allo stesso tempo ci allontana dalle cose cattive, dalla noia e dai pericoli della strada. Per Nick Horby in Alta Fedeltà “ha un grande potere: ti riporta indietro nel momento stesso in cui ti porta avanti, così che provi, contemporaneamente, nostalgia e speranza”.

Un’altra ragione fondante di questo istituto testaccino è l’insegnamento ai bambini. Fin dal principio della sua istituzione, gli insegnanti della scuola hanno cercato un approccio didattico nuovo, che apprendesse prima di insegnare. Una pedagogia attiva, che rompesse gli schemi dell’insegnamento teorico frontale. Ad esempio, non è tanto ben vista la tecnica classica del solfeggio.

Per chi non ha mai suonato manco il campanello, è una tecnica di apprendimento necessaria ma piuttosto noiosa, che consiste nel leggere ad alta voce e a tempo uno spartito musicale. Non a caso si dice “sempre la stessa solfa” per indicare qualcosa di monotono e ripetitivo. Un sistema di educazione musicale alternativo è, per esempio, il metodo del Dalcroze. Un metodo euritmico, basato sull’esperienza corporea degli elementi musicali, utilizzato per insegnare e percepire la musica attraverso il movimento. Particolarmente indicato per i bambini ma non solo.

La scuola dispone di grandi organici storici impegnati nei diversi linguaggi musicali, dal jazz, alla musica classica fino alla musica popolare. Oltre a questo, offre gratuitamente al territorio la partecipazione alla Strada Banda (un gruppo “strano” con finalità artistiche come si autodefiniscono) e al progetto speciale del Coro Mani Bianche, dedicato ai ragazzi disabili con deficit sensoriali o disagi sociali.

Quest’ultima è una storia che parte da Testaccio e arriva fino a Caracas. O meglio, il contrario. Per una congiunzione astrale, sempre nel 1975 il maestro José Antonio Abreu, musicista ed economista venezuelano, creò “El Sistema”. Da non confondere con il tristemente noto “O Sistema” raccontato in Gomorra, questo progetto fu ideato per insegnare la musica ai bambini di Caracas, togliendoli dalle strade e offrendo loro gratuitamente uno strumento musicale e una formazione. Il coro delle Mani bianche, nato nel 2010 da un’iniziativa di Giovanna Marini all’interno della SPMT, è ispirato proprio a questa bella storia venezuelana.

La musica in queste storie e in questi luoghi assume potere che dovrebbe assumere più spesso, il ruolo di diventare il faro nella vita delle nuove e delle vecchie generazioni.

Perché in fondo tanto di quello che impariamo lo dobbiamo alla musica, a quel mistero che si nasconde dietro alla sua essenza matematica. Una serie armonica di note, di frequenze, di accordi, tutti scrupolosamente calcolati in modo da dar vita ad una melodia strutturata e toccante. Questa non è mia ma di Pitagora, un vecchio amico.

 

 

Di Michele Repole

Illustrato da Francesca Murgia

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