Domenica 11 novembre dalle 8 alle 20 i cittadini romani sono chiamati a votare nel referendum consultivo sulla liberazione del trasporto pubblico e in particolare sul destino di Atac, l’azienda per la mobilità di Roma Capitale.

Il referendum è stato promosso da Riccardo Magi, segretario dei Radicali italiani per mettere a gara il servizio dei trasporti della città. La consultazione avviene con voto elettronico nei seggi normalmente utilizzati.

Trattandosi di un referendum consultivo, è valido se il quorum supera il 33 per cento degli aventi diritti al voto, a differenza di quello abrogativo in cui occorre la maggioranza assoluta. Servono quindi almeno 800mila voti.

In entrambi i casi il risultato della consultazione non ha effetti diretti, trattandosi di un referendum consultivo. Se vincesse il Sì comunque l’amministrazione comunale dovrebbe tenere conto delle richieste avanzate dai cittadini per aprire un dibattito sulla messa a gara il servizio dei trasporti della capitale.

Noi del Ventriloco abbiamo intervistato due esponenti dei comitati contrapposti per farci raccontare le ragioni del Sì e del No. Per il Sì ha risposto Simone Sapienza, segretario di Radicali Roma e membro di Mobilitiamo Roma, mentre per il fronte del No abbiamo sentito Francesco Labonia, coordinatore del Comitato NO Referendum Atac.

– Per cosa si vota l’11 novembre a Roma?

– Si vota per la messa a gara del servizio di trasporto pubblico locale di Roma. I cittadini saranno chiamati a decidere se liberalizzare il mercato del trasporto pubblico della Capitale, mantenendo nelle mani del Comune il controllo e la programmazione del servizio, o lasciare tutto com’è adesso, ovvero un monopolio nelle mani di Atac, con i risultati che sono da anni sotto gli occhi di tutti.

No – Per la liberalizzazione del trasporto pubblico locale di superficie e sotterraneo, il che apre alla fattiva totale privatizzazione (primo quesito) e (secondo quesito) per “l’esercizio di trasporti collettivi non di linea in ambito locale a imprese operanti in concorrenza”, cioè quel ‘capitalismo delle piattaforme’ (Uber, autobus low cost, riders…) che radicano il loro modello di impresa sulla disinvoltura fiscale, la deregolamentazione del lavoro e l’aggressione alle potestà regolative delle istituzioni pubbliche. Sistemi come Uber portano all’arricchimento di compagini societarie estere, peraltro tutt’altro che trasparenti. Per Indipendenza c’è anche un ulteriore motivo per rigettare questo tipo di operatori: esse sono espressione di quei vincoli derivanti dalla condizione di succube sudditanza dell’Italia alla filiera euroatlantica che ha reso il nostro Paese, dal secondo dopoguerra a oggi, sostanzialmente un protettorato atlantico.

– Quali sarebbero i vantaggi o gli svantaggi di una liberalizzazione del trasporto pubblico a Roma?

– I vantaggi di una liberalizzazione sarebbero molteplici. Innanzitutto si correggerebbe la stortura attuale secondo cui controllore e controllato sono lo stesso soggetto. Se il Comune potrà tornare a ricoprire il ruolo di controllo e programmazione, vorrà dire che ogni inadempienza rispetto al contratto di servizio potrà essere sanzionata. Atac nel 2017 ha perso 5,240 milioni di km rispetto al 2016: chi è stato punito per questo? Nessuno, cittadini a parte ovviamente. In secondo luogo la libera concorrenza favorisce il mercato, e quindi coloro che usufruiscono del servizio, e quindi i cittadini stessi.

No – Liberalizzare significa che le aziende senza rischio d’impresa utilizzano i finanziamenti pubblici, oltretutto usufruendo delle infrastrutture pubbliche (reti elettriche, binari, fermate, pensiline e probabilmente depositi) pagati dalla collettività. Ora, per ottenere un profitto, questo lo si ricaverà sulle spalle dei dipendenti (meno salario, peggioramento delle condizioni di lavoro, sfruttamento) e dei cittadini (taglio di linee non remunerative, soppressione di turni e bus in zone periferiche meno appetibili).

– Perché è importante andare a votare?

– È importante innanzitutto perché questo è il primo referendum consultivo indetto da quando esiste Roma Capitale, quindi è un’occasione unica per valorizzare il concetto di democrazia diretta e sancire il diritto dei cittadini di decidere sulle sorti della propria città. In secondo luogo, è un atto di responsabilità per innescare una svolta decisiva alla situazione drammatica del trasporto pubblico della Capitale, che è diventato simbolo universale di degrado e abbandono. È arrivato il momento di dire basta.

No – Per dare un segnale politico: il trasporto, come altri ambiti strategici, è un monopolio naturale pubblico. Il privato persegue il profitto, il pubblico no. Strutturalmente non è una differenza da poco. Metterli sullo stesso piano è più che forzato. Innescare meccanismi di concorrenza (se nei primi momenti può produrre meccanismi positivi) nel medio periodo determina un drastico peggioramento del sistema di trasporto. Quando si introducono questi meccanismi competitivi, di concorrenza, è inevitabile che tutto ricada sulla riduzione della manutenzione, dei salari dei lavoratori, della qualità del trasporto. È un dato di fatto. Dimostrabile proprio sull’esperienza romana della consorziata privata di Roma TPL che (mal) gestisce il trasporto nelle periferie e sulla base di quanto sta avvenendo in altre città e capitali in Europa dove si sta cercando di tornare al monopolio pubblico. Il confronto con altre capitali europee chiarisce che le società pubbliche che ne gestiscono i servizi, oltre ad essere ben amministrate hanno come programmatori Enti pubblici capaci di governare i complessi problemi del settore. Laddove i fallimenti della privatizzazione si sono resi irrimediabili, si è determinato un avvio di rinazionalizzazione come nelle ferrovie inglesi. Insomma, con una battuta: per essere cittadini e non clienti.

– Quali sono i problemi di Atac?

– Il problema principale di Atac è che si tratta di un’azienda in gravissime difficoltà, che ha accumulato negli anni un miliardo e 300 milioni di euro di debiti, che non è più in grado di fornire un servizio adeguato perché troppo impegnata a trovare il modo di salvarsi dal fallimento.

No – Atac è una Società per Azioni, ovvero un’impresa in cui la proprietà interamente pubblica non ne modifica lo scopo di lucro (nel nostro caso con effetti disastrosi). Prevalgono così sugli obiettivi sociali le valutazioni economico aziendali ed è per questo che i problemi Atac S.p.A. li ha finora affrontati al modo delle aziende private: con i tagli di linee e fermate, la precarizzazione del lavoro, il dumping sociale, l’appalto di proprie funzioni a ditte esterne all’azienda, la riduzione al silenzio di utenti e lavoratori critici (non di rado licenziati). I cittadini romani possono avere un termine di paragone guardando allo stato delle periferie (e chi vi abita lo sa bene) dove il Comune ha affidato il 20% circa del servizio a Roma TPL. Lì la situazione è ancora più grave che nella parte di città servita da Atac. In un contesto concorrenziale è difficile imporre livelli normativi a tutela dell’utenza, dei lavoratori, dell’ambiente non più garantiti dall’intervento pubblico.

– A cosa sono dovuti?

– I problemi di Atac sono cronici, e sono dovuti principalmente al fatto che si tratta di un grande bacino di voti e ricettacolo di clientele politiche. Questo rapporto malato tra politica e azienda ha fatto sì che negli anni crescesse il numero dei dirigenti stra-pagati nonostante non ci fossero risorse sufficienti, per fare un esempio pratico. In più, il fatto di essere un’azienda municipalizzata, fa sì che le tante inadempienze non possano essere sanzionate né sanzionabili, dal momento che chi dovrebbe farlo, ovvero l’amministrazione, è anche proprietaria stessa dell’azienda.

No – A questa Atac S.p.A. indifendibile per la gestione che la caratterizza da molti decenni, con la produzione di un abnorme debito, un pesantissimo invecchiamento delle vetture e delle infrastrutture, una formidabile obsolescenza tecnologica, una incapacità grave nell’organizzazione del personale. Una “mala gestione” costellata da fenomeni di corruzione, prodotta da una elefantiaca dirigenza frutto del prevalere di interessi delle oligarchie politiche sugli interessi generali. È lampante la corresponsabilità di lunga data delle amministrazioni comunali, unico azionista di Atac, e di Atac medesima nella pessima conduzione dell’azienda, in un generale abbandono che –non è la prima volta– sembra fatto apposta per aprire le porte ai privati.

– Perché votare Sì/No?

– Votare sì per ribellarsi a tutto questo e tornare a chiedere che una città come Roma abbia un servizio di trasporto pubblico pari alle altre capitali europee. Votare sì perché un servizio, per essere davvero pubblico, deve fare gli interessi dei cittadini, non quelli dell’azienda che lo fornisce.

No – Per dire NO al peggioramento del servizio che avrebbe con la vittoria del SI un preoccupante volàno politico-mediatico. La situazione in cui ci ritroviamo adesso è figlia delle politiche degli ultimi 25 anni volte a liberalizzare. Il paradosso è che chi perora il SI attaccando Atac, attacca un modello societario ispirato proprio alla liberalizzazione. Lo scioglimento del paradosso è che chi ha indetto il referendum lo fa perché vuole eliminare quel formale riferimento alla attuale proprietà del Comune. Insomma, un NO che sia solo il primo passo per una battaglia politica che deve continuare.

– Che valore ha questo voto?

– Ha un valore innanzitutto sociale, perché per la prima volta i romani possono esprimersi direttamente su una questione che riguarda la qualità della propria vita, e su cui non hanno mai avuto modo di prendere posizione. Ma ha anche un valore politico, perché votare Sì in qualche modo significa esprimere un giudizio preciso su questa amministrazione e sull’incapacità dimostrata finora di agire, e di agire nell’interesse dei cittadini romani.

No – È importante per la trasformazione di Atac S.p.A. in Azienda Speciale, ovvero, secondo la legge, un ente strumentale del Comune senza scopo di lucro. Quindi società di diritto pubblico, braccio del comune, veramente pubblica, non una SpA. Per il miglioramento dell’infrastruttura (che dire insufficiente è dir poco) sbilanciata sulla gomma, dando così uno ‘strumento’ ottimale per il gestore. Per l’individuazione di una dirigenza controllata dal pubblico ma sottratta al clientelismo partitico con meccanismi di controllo e partecipazione da parte degli utenti e dei lavoratori mediante strumenti specifici per il loro accreditamento e intervento nei meccanismi gestori dell’ente, coerentemente con l’art. 43 della Costituzione. Per la riassunzione del servizio all’interno delle strutture amministrative del Comune ed il rientro nell’azienda effettivamente pubblica dei servizi esternalizzati (la manutenzione, ad es.), cioè dati in affidamento ai privati. Per un polo pubblico per la produzione di autobus, tram e bus elettrici, nell’ottica di promuovere nuove filiere economico-occupazionali e la riconversione produttiva. Oggi come oggi le forniture vanno per la sostanziale totalità all’estero, quindi ad alimentare filiere ed economie altrui. Perché toglierci la possibilità di decidere materialmente sulla produzione industriale? Tutto questo rimanda ovviamente a qualcosa di più generale e ‘strategico’. Senza mettere in discussione le regole UE su intervento pubblico, mercato e messa a gara (sia dei servizi che degli appalti) non si può pensare a nessun efficientamento e a nessuna riconversione. La battaglia quindi riguarda anche il più vasto tema del se/cosa/come produrre e verso quali obiettivi sociali.

– I vostri rispettivi comitati cesseranno la loro attività dopo il voto o proseguiranno la propria opera con altri programmi e iniziative?

– Il comitato si chiama Sì Mobilitiamo Roma e chiuderà legalmente dopo il referendum. Rimarrà invece la pagina Facebook Mobilitiamo Roma, che è un’iniziativa di Radicali Roma aperta a tutti per continuare a occuparci di questi e altri temi e proposte per la città.

No – Come si diceva il tema non si archivia, quale che sia l’esito della consultazione referendaria. La vittoria del SI peggiorerebbe lo status quo, ma la stessa vittoria del NO la vediamo come un presupposto, una condizione necessaria ma non sufficiente, perché anche il mantenimento di detto status quo è inaccettabile. Puntiamo a proseguire sulla base delle direttrici sopra indicate, e confidiamo di farlo d’intesa con quei comitati del NO con i quali abbiamo stretto rapporti e stiamo condividendo questa comune battaglia referendaria.