Per fare un esempio concreto di come si passa il tempo qui al rione, ci sia gente oggigiorno a cui scappa di dire che tra un genio e un maritozzo non c’è grande differenza, e dopo aver fatto questa asserzione incauta, la mattina al bar sotto casa, la debbano sostenere e giustificare. L’ho sentito con le mie orecchie, e nemmeno serve fare il nome o meglio soprannome di uno di costoro. Comunque, senz’altra scelta deve appartenere alla razza di chi si alza presto per perdere molto tempo, come del resto chi lo sta ad ascoltare, e rimane il dubbio se in segreto vorrebbe esser genio per venire invidiato e vezzeggiato, condizione che crede più vantaggiosa dell’esser compatito come di solito gli capita.

Ai genii infatti è permesso di comportarsi come gli pare, perfino in modo brutale, tanto veemente è la giustificazione della loro vocazione. A questi eroi dello spirito è resa lecita la completa noncuranza per le esigenze altrui, dei non-genii voglio dire, ma a differenza di questi ultimi vengono sopportati e anzi incoraggiati nella loro condotta, spesso proterva, in virtù del dono di cui ci rendono partecipi, delle straordinarie qualità del loro ingegno creatore. Se fossero uomini come gli altri i genii sarebbero piuttosto antipatici e spesso lo sono comunque, appena appena a uno, un non-genio si capisce, accade di scordare il gran bene che ci fanno.

Semmai al gruppo degli ascoltatori, per un caso raro si fosse aggiunto qualche straniero, a scanso di equivoci e per evitare successive interruzioni converrà fare una breve digressione, spiegando come il maritozzo sia una

pasta locale condita con olio,

zucchero, uve passe, pinocchi,

ànaci e cotta al forno. Di taglio e a discrezione

vi si può insinuare un po’ di panna.

Ora nessuno nega come la natura di essi maritozzi sia, all’apparenza, molto diversa da quella geniale. Nessun maritozzo s’è mai sentito sostenere che qualsiasi cosa o persona si mette tra noi e l’obiettivo della nostra creazione la dobbiamo eliminare, né s’è mai sognato di stabilire attorno a sé quell’ordine assoluto, necessario e irrinunciabile alla creazione o invenzione che sia. Anzi, in genere i maritozzi se ne stanno insieme con piacere, affastellati sul cabaret di qualche bar, uno diverso dall’altro ma con caratteristiche tuttavia simili, bombati, soffici, anche troppo bonari e ordinati, sempre all’apparenza.

Da questo punto di vista i maritozzi sembrerebbero più accostabili ai non-genii: stanno in gruppo per gran parte della vita, uno accanto all’altro, ognuno con dentro il proprio personale fermento naturale, spesso appiccicati come fossero in metropolitana o pancia all’aria, come quegli altri sulle spiagge. Sperano che passi del tempo prima di essere inghiottiti e si trovano in giro più facilmente la mattina, mentre i genii, si sa, a quell’ora dormono dopo aver creato e inventato fino a notte fonda.

Eh già, perché è proprio dei genii il destino di una vita squinternata fin dall’inizio, fino dalle prime manifestazioni della facoltà creatrice che spesso si traduce in malanni fisici e psichici, asocialità e relative melancolie, emicranie, gobbe, foruncoli e gonfiori come se l’ingegno precoce premesse per uscire. E non di rado nella Storia vi è menzione di giovani genii esplosi, perché la virtù innata non ha trovato sbocco naturale. E qui troviamo forse una prima somiglianza tra le due specie, perché pure ai maritozzi giovani accade a volte di esplodere prima di giungere a maturazione, nel malaugurato caso il pasticciere abbia ecceduto nel lievito di birra, o per una temperatura troppo elevata.

Altra somiglianza, neanche tanto lieve, vien posta nell’estrema utilità sia di genii che di maritozzi, i primi perché conducono lo spirito umano verso straordinarie altezze, i secondi perché allietano la colazione ben disponendoci verso gli affanni che promette la giornata. Come tutte le cose utili a questo mondo, ambedue perdono facilmente la vita, con esiti diversi solo in apparenza. I maritozzi infatti a un certo punto si arrenderanno, sembreranno mollemente accettare di essere trangugiati, con gusto assieme al caffellatte, mentre i genii mostrano fino in fondo la loro riluttanza a essere ingoiati in un sistema, figuriamoci fosse poi quello digerente. È proprio in tale evento cruciale che le specie prese in esame diventano finalmente accostabili, come esempi opposti e perciò contigui dell’atteggiamento di fronte alla morte, per eccesso di timore e arrendevolezza quello dei dolci e di sfida smodata, poiché in preda all’altissima gradazione eroica dello spirito geniale, nel caso dei superumani.

Vite brevi comunque, intense e spesso bruciate nell’arco di un mattino, oppure abbandonate a se stesse fino all’isolamento e al marciume, come accade ai genii misconosciuti e ai maritozzi dimenticati. Molti punti in comune ha pure il contegno con cui essi affrontano un destino singolare, raccolti e compresi nella profonda originalità del ruolo che gli tocca al mondo, originalità che sia gli uni che gli altri vivono barcamenandosi tra vittimismo e titanismo, abbandono e ribellione…

Se qualcuno a questo punto farà obiezione, sostenendo che mai si sono notati atteggiamenti titanici nei maritozzi, basterà indicare lo spettacolo, grandioso e drammatico dei cartoni, dove essi stanno impilati a volte fino al soffitto. E se qualcun’altro di carattere malevolo insisterà che mai s’è visto un maritozzo ribellarsi, gli si dovrà rispondere additando le patacche sulle giacche, causate da improvvise, quanto scellerate fuoriuscite di blocchi di panna ribelle, in conseguenza badate non di un errore dell’arraffatore, bensì per uno schiacciamento naturale e anzi del tutto necessario all’imboccatura del dolce in questione. E bisognerà di concerto far notare l’estrema somiglianza di tali sbocchi con gli improvvisi sbotti d’ira rabbiosa dei genii, e perfino con gli esiti creativi che ne derivano. Non si escluderà nemmeno, fidando nell’episodica conoscenza artistica dei perdigiorno-ascoltatori, che esistano opere d’arte geniali costruite proprio e amalgamate con patacche gittate sulla tela. Ma pure se questo non è ancora successo, ciò non vuol dire che non possa succedere, e forse ne leggeremo a giorni fra le tantissime manifestazioni di genialità del nostro tempo.

È questa l’epoca infatti in cui la quantità di genii pare molto aumentata, mentre è vero che i maritozzi sembrano subire un malinconico accantonamento dal mondo delle paste lievitate. Ma proprio superando con slancio tale contrasto apparente, e anzi affidandoci a uno degli stereotipi più duri a morire, quello del legame stretto tra genialità e malinconia, non faremo fatica a notare un’ulteriore affinità tra le due specie. E che dire dell’impeto con cui, sia genii che maritozzi, si elevano a padroni dell’intera realtà circostante, con il diritto e il lievito della loro singolarità? Cosa della virtù innata che li anima? Dei maltrattamenti che subiscono dalla sorte e dai contemporanei? Del loro appartenere a tutta l’umanità? Che cosa delle ricchezze, squisitezze e senso d’appagamento di cui ci rendono partecipi come esseri umani? Come si potrà insidiosamente sostenere una loro diversità sostanziale, perché i genii non hanno dentro né uva passa né pinoli, e quasi mai vengono cotti al forno, quando chiunque può rendersi conto della scipitaggine di tali minimi particolari, tutti da provare oltretutto, come dire che uno ha gli occhi chiari e un altro il piede valgo, che uno va all’università e l’altro no? I genii hanno idee fulminee, i maritozzi no? Dei genii si parla e si scrive, e ci si ricorda pure dopo la morte, dei maritozzi no? Vi paiono queste differenze durevoli e sostanziali? Semmai potranno apparire come punti a favore per i maritozzi, negli ambiti particolari di un destino più fortunato, come uno che nasce in una valle ubertosa e un altro nel deserto, una più alta percentuale di possibilità per i maritozzi di vivere in pace ciò che gli è dato da vivere, ma è tutto da verificare… E non esistono centinaia di pubblicazioni, tomi e periodici, dedicate ai dessert? E non è forse di maritozzi che stiamo ora parlando?

Si farà quindi meglio a concludere, cercando di nascondere il sudore, che non c’è poi grande differenza tra un genio e un maritozzo, tranne che l’uno mangia l’altro e non viceversa, ma non succede così pure tra i cannibali?

 

 

Di Paolo Morelli

Illustrato da Giuseppe Maggiore

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