Alieni – I racconti di Emanuele Kraushaar

 

La sala d’attesa

Alcuni cervelli erano stati direzionati verso l’amore per gli altri, altri verso l’amore per sé stessi, o verso il successo, verso il senso di sé, verso il rispetto per il silenzio; il mio – ormai lo avevo capito – era stato orientato verso il niente. E così, mentre gli altri uscivano dal reparto operazioni così eccitati come se la vita non aspettasse che loro, io zoppicavo a fatica verso il divano della sala d’attesa.

 

Il quarto giorno

Da qualche giorno alcuni ometti di colore grigio con lunghe mani e una testa repellente (gli occhi sono microscopici o non li hanno proprio) si sono messi a zappare il mio orto con le loro magrissime braccia.

Il primo giorno ho avuto paura e mi sono tappato in casa e così li guardavo dalla finestra.

Il secondo giorno ho aperto la porta e mi sono affacciato in giardino: allora uno di loro si è voltato di scatto e mi si è gelato il sangue, perché in quel momento mi sono accorto che non hanno occhi, ma è come se li avessero.

Il terzo giorno ho fatto qualcosa, ma non mi va di ricordarlo.

Il quarto giorno, che poi è ieri, ma forse è domani, ho preso coraggio e sono uscito in giardino.

“Cosa state facendo?” volevo chiedere, ma la voce mi è rimasta in gola.

Poi mi sono accorto che ero ancora dentro casa e che sul foglio appoggiato sulla mia scrivania c’era scritto più volte il quarto giorno, il quarto giorno, il quarto giorno, il quarto giorno, il quarto giorno.

 

Che lei

“Alla fine al dottore confesso che mi hanno inserito dati di memoria aliena.

Per questo dico: «Ho visto pianeti che lei, ho visto statue parlanti che lei, ho visto pietre incendiarie che lei, ho visto stelle nere in un cielo blu cobalto che lei, ho visto semi che saltavano fuori dalla terra che lei».

Allora il dottore mi chiede: «Che io cosa?».

«Ho visto dottore che lei» dico e il dottore non è più quello che ho davanti, con gli occhiali spessi e il camice bianco, ma tutti i dottori che avrò davanti per sempre, da adesso fino all’oscurità impenetrabile della mia morte, che lei”.

 

Api

Tramite le Comunicazioni ho saputo che le api trasportano informazioni a vantaggio degli alieni.

Nel mio giardino ci sono molte api che sciamano intorno ai fiori e sembrano concentrate sull’impollinazione.

In realtà, secondo le Comunicazioni, molte di esse sono impegnate a fornire informazioni agli alieni.

Loro sanno, per esempio, che Luisa è venuta a trovarmi ieri notte e che abbiamo fatto l’amore fino alle quattro del mattino.

Sono convinto che questa informazione sia ormai arrivata agli alieni.

Dato che non voglio che si facciano gli affari miei, la scorsa settimana ho passato molto tempo in giardino a uccidere api.

Non potrei affermare di aver fatto fuori una delle api messaggere, perché all’apparenza non c’è alcuna differenza con le altre.

Quando ho chiesto delucidazioni, tramite le Comunicazioni mi hanno risposto di smetterla di uccidere api e che per me è meglio mantenere un rapporto neutrale con gli alieni.

 

 

 

Cerchi nel grano

L’altro giorno sono stato svegliato da un grosso chiasso che arrivava dalla piazza.

Sono sceso e la gente diceva che era successo un casino al campo di Franco Righi e c’era pure Franco Righi, proprio lui, che da secoli non veniva in paese.

Il vecchio Attilio, che tutti chiamano Attila, bestemmiava come un diavolo e tirava calci all’aria.

Non so chi sia stato il primo a parlare di cerchi nel grano, ma comunque alla fine se la sono presa con quel poveraccio di Testa di Cane.

Io c’ero quando l’hanno legato e picchiato nel retro del capannone di mio zio.

Sputava sangue e urlava: “Io non c’entro, io non c’entro! Sono stati gli alieni…”.

Proprio quando ha pronunciato la parola alieni, allora sono uscito e ho guardato il cielo.

Appena rientrato, ho detto a tutti che ero stato io a fare i cerchi nel grano.

Nessuno mi ha creduto e poi tutti comunque volevano prendersela con Testa di Cane, perché da sempre le colpe erano le sue.

Mio zio è sbottato fuori in una risata rauca; gli altri lo hanno seguito.

Franco Righi mi ha dato una pacca sulla spalla, poi tutti hanno ripreso a gonfiare quel poveretto.

Io sono uscito dal capannone e ho iniziato a correre fino a quando sono arrivato a uno dei cerchi nel grano.

Mi sono seduto a terra e ho guardato verso l’alto: non c’era niente, solo un’infinita distesa di nuvoloni grigi, carichi di pioggia.

  

Bic

Ieri sono stato rapito dagli alieni.

Oggi mi hanno dato un foglio bianco e una penna che sembra un po’ una bic. Anzi, secondo me è proprio una bic, ma non sono sicuro. Comunque vogliono che su questo foglio io scriva cosa significa la parola tempo.

So già che sarò qui anche domani con davanti questo foglio, la bic in mano, e non scriverò niente.

Ho pensato di spezzare la bic per vedere la loro reazione.

Questo l’ho pensato ieri, ma continuo a pensarlo anche oggi e lo penserò sicuramente domani e non spezzerò la bic.

Gli alieni non mi faranno niente: per loro il tempo non sembra passare mai e continueranno a fissarmi con i loro enormi occhi molli, in attesa che scriva qualcosa.

 

Contatto

Negli ultimi tempi ci sono stati spesso temporali improvvisi, fulminei come serpenti velenosi scesi dal cielo; io sono stato quasi sempre sul dondolo a fissare il mare, che ingrossava come la gobba scura di un animale gigantesco.

È stato durante uno di questi temporali che ho visto quei piccoli esseri.

Così, risvegliato da un coma a orologeria, mi sono alzato di scatto e sono sceso in spiaggia.

Sotto un diluvio che sembrava definitivo, mi sono tuffato in acqua e ho cercato di raggiungere quegli esseri minuscoli che nuotavano con naturalezza sotto la pioggia.

Non so se sono riuscito ad avvicinarne qualcuno o se sono svenuto prima: quando mi hanno ritrovato sulla spiaggia, pare che non riuscissi a dire una parola.

Ora che sono qui, in un enorme parco, seduto su un dondolo molto simile al mio, guardo verso la ringhiera che separa questo mondo da quello dove stavo prima.

Vedo alcuni piccoli esseri che si arrampicano sul grosso cancello nero dell’istituto.

Alcuni hanno difficoltà a salire e rimangono feriti dalle punte di metallo; altri, arrivati in cima, cercano di scendere dalla mia parte, ma non ci riescono. Così se ne vanno via tutti, trascinati da un fiume invisibile e silenzioso.

Io li guardo mentre si allontanano per sempre. Vorrei alzarmi, ma non ho le forze e non sarei comunque in grado di raggiungerli.

Quando mi volto, intorno a me vedo alcune persone che mi assomigliano e altri uomini giganteschi, forse infermieri. Anche questa volta, nessuno sembra essersi accorto del contatto.

 

 

Racconti di Emanuele Kraushaar

Illustrati da Fabio Malpelo

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