Il nostro fiume è ancora vivo?

Sabato 30 maggio, lungo il Tevere, nel suo tratto urbano, una enorme quantità di pesci galleggiava riversa mentre la corrente li trascinava verso la foce. Pesci morti. Tantissimi pesci morti e gabbiani pronti a banchettare. Il giorno seguente la situazione non era cambiata affatto. Romani che passeggiavano lungo le banchine si fermavano, scioccati. Si intravedevano occhi luccicanti e lacrime che rigavano i volti dei bambini e non solo. Uno spettacolo mortifero, sul nostro fiume, il nostro Tevere, simbolo di vitalità e di resistenza in una Roma ultra cementificata.

Le ipotesi sulle cause di questa moria sono state diverse e la maggior parte hanno a che fare con l’inquinamento, frutto tutto umano. Da una parte potrebbe essere a causa delle copiose piogge degli ultimi giorni, in relazione a quello che è stato un inverno troppo poco piovoso: in questo caso, le improvvise precipitazioni avrebbero riempito i fossi, le strade e le fogne che, in secca da troppo tempo, avrebbero strabordato portando con sé una percentuale altissima di scarichi. Chiaramente, il sospetto di scarichi abusivi e volontari di materiali tossici è sorto spontaneamente, vista la scarsa cura dell’ambiente a cui ormai siamo abituati.

E infatti, purtroppo, è l’Agenzia Regionale Protezione Ambientale del Lazio, a comunicare con la relazione del 9 giugno la presenza di sostanze potenzialmente tossiche in quantità sufficienti da non escluderle come cause diretta della moria a cui abbiamo assistito. Sarebbero due in particolare: la Cipermetrina, utilizzata nella profilassi antizanzara; e il Clothianidin, utilizzato come pesticida su un gran numero di vegetali, ormai vietato dal 2018 perché altamente tossico per le api. Entrambe le sostanze avrebbero effetti mortiferi e tossici anche sulla popolazione ittica.

Venerdì 5 giugno, dai primi risultati dei campionamenti fatti sia sui cadaveri che sulle acque, non sembravano esserci livelli di inquinamento tanto alti da giustificare una tale moria, che avrebbe richiesto lo sversamento di un’enorme quantità di prodotti di scarico. La causa sembrava allora da ricercare nella siccità e nell’eccessivo abbassamento delle acque del Tevere. La conseguenza più drammatica della siccità è proprio la carenza d’ossigeno, senza il quale, chiaramente, i pesci non possono sopravvivere.

Probabilmente esclusa l’ipotesi siccità e probabilmente aperta la pista inquinamento, non resta che aspettare, come spiega l’ARPA Lazio, l’approfondimento dello studio attraverso l’incrocio dei dati analitici riscontrati nelle acque con quelli, in corso di determinazione, sulle carcasse dei pesci.

Tevere

Credits: Emanuele Difeliciantonio

È anche vero che non è la prima volta che morie di pesci colpiscono il nostro un tempo biondo Tevere: nel 2017, a seguito di una forte ondata di maltempo, i mari di Ostia e Fiumicino si riempirono di pesci morti provenienti dal fiume; come anche nel luglio del 2002 e del 2004, sempre a causa di improvvisi temporali.

Si sa, la morte e la vita sono legate da un filo indissolubile, l’una chiama l’altra, l’una si lega all’altra in un continuo richiamo. Senza l’una non esisterebbe l’altra, e viceversa. Per questa ragione, per questo semplice legame che riconosciamo come costitutivo del nostro, di noi esseri viventi, essere al mondo, abbiamo deciso, proprio in un articolo dall’incipit tanto mortifero, di raccontarvi ciò che di vivo c’è ancora nel nostro fiume. Nonostante l’insufficienza dei depuratori, di comportamenti potenzialmente criminosi e dell’invadenza dei muraglioni che hanno praticamente annullato la vegetazione riparia intorno al fiume, di vita ce ne è ancora in abbondanza e – ci dice il WWF Roma, “Tale abbondanza è paradossalmente testimoniata dalle periodiche morie estive della fauna ittica”.

La fauna tipicamente tiberina è composta prevalentemente di uccelli e di pesci, ma anche alcuni mammiferi e anfibi popolano il tratto urbano del fiume. La biodiversità della zona è ancora garantita, anche se in questa sede non prenderemo in considerazione le migliaia di specie di insetti presenti e, chiaramente, tutta la flora.

La comunità ornitica (uccelli, appunto) è senza dubbio la dominante, con circa decine di specie differenti, molte delle quali nidificanti, altre invece soltanto migratorie. Vi sono specie di ambiente tipicamente fluviale e specie di ambiente boschivo, altri di ambiente aperto o urbano. Troviamo allora, per citarne soltanto alcuni, i cormorani, gli aironi cenerini, le gallinelle d’acqua, i piro piro, i gabbiani comuni, i gabbiani reali, i martin pescatore o i pendolini; gli scriccioli, i pettirossi, i merli, le capinere, le sterpazzoline, le cinciallegre, i regoli e i passeri; infine le rondini, le cornacchie, i fringuelli, i cardellini, i verzellini, i verdoni, i beccaschini e i balestrucci.

Il letto del fiume è un punto di riferimento proprio per i flussi migratori di alcuni uccelli, come gli invernali aironi cenerini o i cormorani. La vegetazione intorno, quando c’è, tra salici, canneti e pioppi, è invece un ottimo luogo dove nidificare. Il Martin Pescatore ad esempio predilige il tratto tra ponte Milvio e l’isola Tiberina, mentre la Gallinella d’acqua preferisce nidificare tra ponte Marconi e la Magliana. I Germani reali, invece, anatre selvatiche più comuni, nonché capostipiti di tutte le anatre d’allevamento, sono innamorate del tratto di ponte Risorgimento dal quale non hanno alcuna intenzione di andare via. Infine, caso speciale, i Gabbiani reali che partendo dal fiume hanno conquistato anche i tetti delle case romane, dove trovano riparo per i nidi dei propri cuccioli e facile nutrimento nei piccoli del piccione.

Chiaramente, una così forte comunità di uccelli significa una forte presenza di abitanti acquatici. La comunità ittica (i pesci) è la seconda in quanto a numero di specie. Troviamo allora, fra gli altri, le anguille, i barbi (pesci baffuti), il cefalo comune che ama risalire i corsi del fiume per molti chilometri, le rovelle, i cavedani, le carpe e le tinche. Poi c’è il leggendario pesce siluro, altra specie alloctona, cruccio di una miriade di pescatori ancora attivi sulle sponde del fiume a caccia del gigante d’acqua dolce.

Non mancano, come noi trasteverini e romani sappiamo bene, i mammiferi. Il ratto comune, o ratto nero, che inquieta le passeggiate e i ristori dell’uomo, non è solo. A fargli compagnia, altri mammiferi della stessa specie dei roditori come il rattus norvegicus, chiavica o pantegana, la lontra, carnivoro che raggiunge anche i 120 cm di lunghezza, il toporagno, il topo selvatico e l’arvicola di savi (un altro piccolo roditore).

Altra caratteristica della popolazione tiberina è la presenza di alcune specie alloctone, non nate qui. È il caso ad esempio della nutria, mammifero roditore nativo del Sudamerica. Questo animale è stato importato qui intorno agli anni ‘50 per l’allevamento da pelliccia, ma a seguito di alluvioni è riuscito a sfuggire alla cattività e riprodursi in stato selvatico, diventando ormai parte della nostra fauna. Altro caso di specie alloctona è quella della testuggine americana, importata illegalmente e tra l’altro molto dannosa perché in giovane età è carnivora e banchetta coi girini presenti nelle acque del Tevere.

Proprio la testuggine americana, ci apre la strada all’ultima comunità presente, quella degli anfibi e dei rettili. In particolare troviamo la biscia dal collare, il rospo comune, la rana verde, la lucertola verde, quella campestre e quella muraiola, oltre al tritone crestato.

Sono dunque tantissimi gli animali, ma anche le piante e senza dimenticare alcuni uomini, per cui il Tevere è ancora fondamentale, centro vitale di questa città. Dunque, nonostante il tragico evento che ha colpito emotivamente tutti noi, possiamo dirlo: il nostro fiume è ancora vivo. Forse, allora, dobbiamo impegnarci perché resti tale.

Di Saverio Cambiotti

Fotografie e video di Emanuele Difeliciantonio

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