ANGOLI DI TRASTEVERE

 

Roma, una città fondata su antichissimi miti che hanno segnato il suo destino e la sua eternità, la cui memoria è ancora oggi viva nei suoi luoghi simbolo.

È il caso del Gianicolo, uno dei colli più noti che sorge nell’antico Transtiberim, ossia sulla sponda destra del fiume Tevere. L’Arx Janiculensis (ossia l’altura del Gianicolo) era la porta (ianua) verso l’Etruria e al pari del Colle Vaticano era ritenuto dagli antichi auguraculum ossia luogo dove poter trarre vaticini. Secondo la leggenda vi venne sepolto il re Numa Pompilio.

Deriva il suo nome dal dio latino Giano, quel nume dal doppio volto che aveva la facoltà di guardare al passato e al futuro, diventando in tal senso colui che presiedeva ai passaggi, funzione espressa di fatto già nell’etimologia del suo nome che, come indicò George Dumezil, traeva origine dall’indoeuropeo con il significato appunto di “passaggio” (il latino ianua, porta, è connesso appunto con Janus). Era il guardiano delle porte e come si addice ad un ianitor recava in mano un bastone ed una chiave. Giano non era figlio di alcun dio, lui era sempre stato, era il pater divorum (padre degli dei), il creatore di tutto.

Le più antiche monete romane recano su un verso la testa di Giano bifronte e sull’altro la prora di una nave confermando una tradizione antichissima suffragata da autori latini come Ovidio e Macrobio, che lo riteneva l’inventore del primo vascello e della navigazione, attività che prevede un passaggio critico che può realizzarsi attraverso la costruzione attenta di un mezzo sicuro. Ed ecco Giano trasformarsi in un divino costruttore di navi con gli strumenti dell’ars aedificatoria in un bellissimo disegno mantegnesco conservato a Budapest (Museo Nazionale).

Erwin Panofsky interpretò il mito della costruzione della nave come allegoria platonica della produttività umana e ne colse due elementi importantissimi: quello del costruire secondo un progetto consapevole e quello dell’atto del costruire procedendo secondo numero, peso e misura (Metafora della nave, Platone, VI libro della Repubblica).

Ed è proprio il simbolo della nave o vascello che ritroviamo sul colle in citazioni architettoniche a mio avviso di apprezzabile interesse.

Il complesso monumentale di san Pietro in Montorio (da Mons Aureus), voluto nel 1498 da Ferdinando il Cattolico ed Isabella di Castiglia, sorgeva su un’importantissima memoria. Il punto in cui era stata conficcata la croce sulla quale fu appeso san Pietro a testa in giù. Il luogo del martirio di Pietro era tradizionalmente noto come “inter duas metas” ed il Mons Aureus coincide topograficamente con questa centralità. Le mete erano due sepolcri romani in forma di Piramide (che la leggenda ritenne erroneamente sepolcri di Romolo e Remo) ubicati presso il Vaticano (Meta di Romolo) e, l’altro ancora esistente, a Porta Ostiense (Meta di Remo).

Ebbene, se tracciamo una linea nord/sud vediamo che le due mete si uniscono, mentre se tracciamo un asse est/ovest vediamo che la linea unisce il mare (quel mare da cui sarebbe giunta la nave che avrebbe portato Pietro a Roma) con il Tempio della Pace (quest’ultimo fortemente allusivo alla tradizione che voleva Giano il custode delle porte in tempo di pace e di guerra, come Pietro lo sarà del regno dei Cieli).

Viene così a tracciarsi una croce nel punto in cui, oltre alla memoria del re-sacerdote Numa Pompilio, veniva a collocarsi la memoria della morte di Pietro sulla croce. Ricordiamo l’antica funzione del colle come auguraculum: “recinto augurale”, ossia uno spazio quadrato realizzato attraverso il tracciamento di una croce, senza tetto, orientato secondo i punti cardinali e consacrato, all’interno del quale i sacerdoti si posizionavano per osservare il cielo di cui l’auguraculum era proiezione in terra e trarre auspici dal volo degli uccelli.

Proprio qui Donato Bramante eresse il suo famoso Tempietto, un vero gioiello dell’architettura rinascimentale dove la pianta circolare inscritta nel quadrato del portico realizza quella dimensione preannunciata dall’antico templum.

Il Mons Aureus diviene nella tradizione popolare la pietra sacra del martirio, e da ciò discende il ragionamento che ricorda la frase di Pietro “su questa pietra” dove viene fondata la Chiesa- Nave- Arca.

In effetti, all’interno del Tempietto di San Pietro in Montorio alla base del Paliotto d’altare che mostra la Crocefissione di Pietro, tra gli stemmi dei re di Spagna è raffigurata l’Arca di Noè galleggiante: simbolo della Navicella della Chiesa.

In questa ottica appare plausibile la suddetta lettura architettonica del complesso di san Pietro in Montorio avvalorata dalla facciata in candido travertino della chiesa dove sembra riproporsi un’ideale tomba-arca.

Nel 1605, grazie al re di Spagna, si realizzò un possente bastione a protezione del complesso monumentale ed è proprio un dettaglio architettonico di tale muraglione che attira la nostra attenzione: si tratta dello sperone destro dove il suo profilo, sotto la voluta, traccia una curva parabolica seguita da un tratto rettilineo a scarpata che rimanda direttamente al profilo di una prua antica.

Ritengo che non sia casuale e che alla base di questo dettaglio ci sia stata la volontà di ricordare l’antico nume e di creare una connessione con la nuova memoria petrina. Pietro è colui che guida la “nave” della chiesa (Mt 14, 22.23) e il suo vascello fu mirabilmente rappresentato nel mosaico di Giotto sulla facciata dell’antica basilica di san Pietro in Vaticano.

La nuova roccaforte cristiana sulla memoria petrina rievocava l’Arx Janiculensis del dio Giano, e lo stesso Pietro iconograficamente assume gli stessi attributi di Giano quale ianitor, grazie alle chiavi che tiene strette in mano.

Ma non finisce qui… il vascello continua il suo viaggio.

 

Di Adelaide Sicuro

Illustrato da Matilde Adele

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