ANGOLI DI TRASTEVERE

 

Tra il 1663 e il 1665 il Gianicolo vide sorgere una villa che al tempo destò molta curiosità, destinata a essere talmente rappresentativa da diventare quasi un toponimo: la villa di Elpidio Benedetti. Ma chi era costui?

Elpidio Benedetti attraversò durante la sua lunga vita tutto il XVII secolo: a 15 anni diviene chierico ed intraprende gli studi che gli permettono di entrare nella Curia, inizialmente con un ruolo secondario, fino a quando il cardinale Francesco Barberini decide, nel 1635, di inviarlo in Francia per diventare segretario del potentissimo cardinale Giulio Mazzarino, nominato nunzio apostolico in Francia. Elpidio diventerà l’intermediario per l’acquisto di opere d’arte per conto del Mazzarino e grazie a questo incarico entrerà in contatto con i più grandi artisti del tempo, noti ed emergenti, che lavoravano a Roma.

Nel suo testamento, il cardinal Mazzarino lo raccomanda al re di Francia, cosicchè dopo il 1661 Elpidio diviene agente del re cristianissimo, uomo di fiducia del ministro Colbert fino alla morte.

Nel Seicento il Gianicolo diviene il colle ameno e salubre dove edificare ville in cui trascorrere ozi culturali, la prima e più importante è la villa Pamphili, che con il pontificato di Innocenzo X Pamphili si arricchisce notevolmente. Proprio in questo contesto nasce Villa Benedetta, commissionata da Elpidio, nella Roma dei grandi artisti e del Bernini, ad una donna, fino a quel momento nota come pittrice.

La prima donna architetto, o come era detta, architettrice, fu Plautilla Bricci.

Molto probabilmente, fu raccomandata al Benedetti dalla sua stessa sorella, suora Maria Eufrasia della Croce, anch’ella pittrice.

Plautilla era figlia di Giovanni Bricci, una sorta di genio poiché importante letterato, commediografo, musicista e pittore, mentre il fratello Basilio era architetto e pittore.

Plautilla nasce a Roma il 13 agosto del 1616 e quando le viene affidato l’incarico di edificare la villa ha ormai 47 anni. Non si è mai cimentata come architetta ma solo come pittrice. Pare strano che un uomo della levatura di Benedetti, intermediario tra Italia e Francia per l’arte, che aveva rapporti di amicizia con i più grandi artisti di quel periodo tra cui Gianlorenzo Bernini, si sia rivolto ad una donna.

Ci è giunta attraverso i secoli la ricchissima documentazione dei progetti originali e dei capitolati: Plautilla fu l’architetta e la direttrice dei lavori.

Non si conosce la natura del rapporto che legava Elpidio Benedetti a Plautilla, ma sicuramente riponeva in lei una grande fiducia. Probabilmente a ciò non furono estranei motivi pratici: una donna architetto sarebbe costata meno e avrebbe avuto sicuramente disponibilità di tempo, perché nessun altro l’avrebbe ingaggiata.

La villa che Plautilla progettò aveva tutte le caratteristiche richieste ad un luogo di ozi e studi: immersa in un elegante giardino occupava un’interessante posizione, ma ciò che la rendeva tuttavia molto originale era la sua forma, che la identificò per il futuro come la Villa del Vascello.

Purtroppo oggi resta pochissimo di questo edificio perché bombardato e distrutto durante la Repubblica Romana del 1849.

La prima pietra che fu posta nelle fondazioni portava il nome dell’architettrice e la data. Possediamo la trascrizione che ne fece il Cartari (A.S.R. Carte Cartari Febei, vol. 123, c117, ct. In F.Eleuteri, A. Ranaldi 1993, p. 90):

JANI TEMPLO

PROPTER BELLUM INTER QUIRITES ET GALLOS

JANICULUM QUIETI EXTRUXIT

PLAUTILLA BRICIA ACHITECTURA E PICTURA CELEBRIS

PRIMUM LAPIDEM POSUIT

ANNO SALUTIS MDCXIII

Il corpo di fabbrica rettangolare era lungo, avendo i lati brevi orientati nord e sud, e la villa era composta dal piano terra e da due piani superiori.

Proprio il lato meridionale, ancora in parte superstite, si affacciava sulla via Aurelia (ancora oggi se ne possono ammirare i resti) con un originalissimo prospetto che dava alla villa l’aspetto di un vascello arenato su uno scoglio.

Una lavorazione in finta roccia sostiene il corpo semiellittico porticato del lato breve della villa, aperto con tre arcate, di cui la centrale è sormontata dallo stemma del re di Francia sostenuto da due statue rappresentanti la Fama.  Al centro, una fontana decorata con i gigli di Francia emetteva un alto zampillo visibile dalla facciata del lato opposto.

La sommità dell’edificio era coronata da torrini svettanti.

La novità di questa facciata semiellittica, le prospettive segnate dalle fontane e i torrini, rendevano la villa un piccolo gioiello. Soprattutto la finta roccia, che creava un impressionante effetto scenografico, fece ipotizzare che forse il progetto di Plautilla fu influenzato, se non “consigliato”, dallo stesso Gianlorenzo Bernini, poiché sappiamo che i lavori subirono un ritardo, non già causato dall’architetta, bensì da un ripensamento di Benedetti, ma ne ignoriamo il motivo.

Si è ipotizzato che la spiegazione potrebbe essere collegata all’incontro che il Benedetti, in qualità di agente del re cristianissimo, ebbe con il Bernini nel 1664, allorquando gli consegnò la lettera del Colbert per invitarlo a Parigi. In tale occasione il prelato avrebbe potuto chiedere all’illustre architetto un consiglio sulla sua villa in costruzione. Il dettaglio della finta roccia deporrebbe a favore di questa teoria perché il Bernini aveva già utilizzato questo espediente per la sua magnifica Fontana dei Fiumi a piazza Navona.

Tutto ciò toglierebbe alla povera Plautilla l’idea che rese la Villa del Vascello un unicum. Tuttavia mi piace pensare che la coraggiosa architetta si sia ispirata spontaneamente alla grande opera di Bernini.

Villa Benedetta è anche portatrice di un messaggio: il lato sud aveva portava lo stemma del re di Francia ed il giglio. Ma il lato opposto che guardava verso il Vaticano mostrava il Sole francese e lo stemma del cardinal Mazzarino in un ideale collegamento fra Francia e Vaticano. Beffarda sorte quella del Vascello, che invece nel 1849 verrà distrutta dai bombardamenti dei Francesi scesi a Roma in sostegno di Papa Pio IX fuggito durante la Repubblica Romana del ‘49.

Un simbolico vascello arenato sul Gianicolo che ricordava anche un altro importante simbolo, quello di Parigi: una nave mercantile a vela. Dal 1210 questo era il Sigillum mercatorum aquae parisius, ossia Sigillo della potente Corporazione dei nautes e marchands de l’eau, corporazione che controllava il traffico commerciale (già dall’età romana). Lo stemma di Parigi, un vascello in campo azzurro seminato di gigli d’oro, fu concesso dal re Carlo V nel 1358.

Inoltre non va dimenticato che Colbert nel 1669 ottenne dal re la creazione del Ministero della Marina, carica di cui fu il primo titolare e che fece di lui il padre della moderna marina francese.

Dai tempi più antichi il colle dedicato al dio Giano, inventore della navigazione, ha mantenuto viva la memoria di un importante simbolo ormai dimenticato ma vivo nelle leggende e nelle vestigia del Gianicolo.

 

Di Adelaide Sicuro

Illustrazione di Matilde Adele

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