Il nuovo quartiere: i prati di San Cosimato

In pochi anni, a Trastevere nasce un quartiere ai prati di san Cosimato quando la città, nel 1871, diventa Capitale e l’improvvisa richiesta di alloggi fa salire il prezzo delle pigioni per la fascia sociale ai limiti della sopravvivenza; la speculazione edilizia già presente durante il governo pontificio cerca un aumento della rendita frazionando le abitazioni nelle quali si accalcano anche oltre dodici abitanti. Si soprelevano vecchie case mentre vengono demoliti fabbricati lasciati deperire per negoziare i terreni disponibili. I programmi edilizi partono quando i piani regolatori definiscono le aree da edificare per abitazioni e quelle per infrastrutture. Una nuova rete viaria determina l’isolamento di blocchi abitativi intorno alla piazza, sufficientemente estesi da accorpare fabbricati costruiti su lotti adiacenti, ma i piani edilizi del municipio sono già scavalcati dai privati.

È una situazione caotica quella su via di San Francesco a Ripa prima dell’apertura dello stradone dei 35 metri. La storia di Stefano Moraldi, un capo mastro muratore, è quella di un personaggio danneggiato dagli espropri successivi. Attraverso i suoi patrimoni sembra un regista di operazioni in questo tessuto storico prima degli sventramenti; proprietario di un palazzetto ed esecutore materiale di opere su due contigui su via S. Francesco a Ripa, eleva le altezze da 12 a 19 mt. coprendo a terrazzo invece del tetto precedente; il servizio igienico sporge sul giardino interno seguendo soluzioni abitative per molto tempo ancora in uso.

Nuove fabbriche nascono a nord della piazza con grande fermento di iniziative su terreni ormai concentrati nelle mani di grandi proprietari come i Barberini Colonna di Sciarra, mentre il piano regolatore del 1873 indirizzava i programmi di espansione abitativa anche a Trastevere. Demolizioni di fabbricati storici dovevano aprire un varco sul fronte continuo di via San Francesco a Ripa isolando un lotto di terreno tra due vie di collegamento con la piazza: è la prima volta che compare la via privata poi detta Natale del Grande.

Il prolungamento del vicolo di San Francesco a Ripa perpendicolare allo stradone omonimo si perderà nelle proposte successive dato che dipendeva dal progetto della nuova stazione di Trastevere all’imbocco della piazza, poi abbandonato. Si voleva inserire una struttura territoriale dopo la soppressione della funzione monastica a S. Cosimato destinato ad ospizio per anziani.

Da queste premesse nasce il piano del 1882 che stabilisce il concorso dell’Amministrazione Pubblica nelle opere edilizie della Capitale. L’intera area è in procinto di realizzare la sua vocazione e lo spostamento della stazione verso piazza Ippolito Nievo crea le condizioni per il compromesso tra la Compagnia Fondiaria, il principe Sciarra ed il Comune, segnando il vero atto di nascita del nuovo quartiere.

Il carattere popolare di Trastevere dà l’impronta all’attività edilizia che non si eleva affatto dalla precedente. Sugli spazi resi disponibili, il taglio del tessuto edilizio antico offre l’occasione di realizzare edifici in linea di notevoli dimensioni, destinati ad esprimere in una forma architettonica unitaria il pesante intervento urbanistico.

Inizia il settore nord della piazza dove il grande lotto pentagonale tra via Luciano Manara e del Mattonato ingloba un’area già edificata. Si cerca la rendita sfruttando una funzione produttiva; la strategia di Alessandro Nelli è chiara: acquistare dal Comune l’intero lotto per costruire un impianto industriale che accrescerebbe subito il valore del terreno a patto che si riuscisse poi a cambiare la destinazione d’uso. Si trattava di inserire una funzione mista con la residenza di operai per poi far sparire le tracce dell’impianto produttivo di un opificio di fusione artistica con annesso caseggiato di abitazione.

Ma la fase progettuale acuta che realizza i programmi edilizi della Fondiaria parte nell’84 con l’ing. de Mauro che progetta per Luigi Loreti un edificio in angolo con via Santini. Poi architetti che realizzano progetti per più imprenditori, e imprenditori proprietari di più lotti edificabili. L’arch. Icilio Pettini ed il costruttore Paparelli realizzano insieme 4 fabbricati; sembra richiesto per soluzioni relative a fabbricati contrapposti in incroci stradali.

L’apertura di via Natale del Grande stacca dai confini nord del monastero un’area di piccoli appezzamenti privati di fronte all’attuale via Manara. Una casa ad uso tintoria al n° 39 prato di San Cosimato, una fabbrica del verde rame al 29 di proprietà del Marchese Scipione Sacchetti e due case con giardino a via san Cosimato da 27 a 24. Con l’apertura della via privata si isola questo limite e l’antico tessuto di case e giardini abbattuto per realizzare i nuovi fabbricati intensivi. La Compagnia Fondiaria vende l’area a piccoli imprenditori che vogliono costruire.

Fortunato Valori compra tutto il terreno dell’isolato; quello che manca lo acquista dalla Giunta Liquidatrice dell’Asse Ecclesiastico ed addirittura dal singolo proprietario di una casa poi abbattuta. Con il Comune realizza una permuta di aree per la rettifica del filo stradale. Poi costruisce sette degli otto nuovi fabbricati su questo isolato. Manca la particella d’angolo tra la piazza e la via Privata che la Fondiaria vende appunto al Paparelli. Il 18 febbraio 1887 i lavori sono ultimati, poi con sentenza del tribunale nel ’97 il Valori subisce un esproprio e la proprietà aggiudicata alla Banca d’Italia. È una storia frequente nel quartiere.

Sul fronte opposto della piazza con l’apertura di una via privata poi detta Santini, altri edifici vengono realizzati su antiche vigne ed orti di proprietà delle monache di Santa Caterina da Siena e san Cosimato, passate anch’esse agli Sciarra ed alla Fondiaria. Luigi Loreti compra tre terreni dalla Fondiaria che poi rivende. In realtà compra terreni, costruisce i palazzi e poi li rivende alla Fondiaria ancora come terreni, lasciando a quest’ultima la registrazione al Catasto urbano. Non è l’unico caso di un fenomeno legato al rapido movimento di capitali.

l'orto del convento

L’area del Convento era stata limitata dalla nuova via privata; l’accesso era da un protiro davanti ai muri di fratta delle vigne. Intorno al monastero si aprivano orti e giardini fino ad incontrare il costruito su via San Francesco a Ripa. La via privata sfonda il tessuto storico puntando il baricentro della piazza e tagliando dal lotto una fetta di terreno che dà lo spunto ai due nuovi bordi. Gli edifici di fine Ottocento diventano il confine di un isolato ridimensionato dalla costruzione del viale e dalla nuova via Morosini, finendo per chiudere il convento in un’area tutta costruita senza più la funzione agricola.

Ora emergono i palazzi d’angolo, simili per elementi stilistici, descritti come case con botteghe e corte. La nuova via privata tracciata dalla Fondiaria viene considerata come un semplice cortile compreso tra proprietà private. Anche Paparelli è espropriato con sentenza del 1897 che aggiudica il palazzo alla Banca d’Italia. La storia è sempre la stessa: nel 1906, i Beni Stabili, dopo averlo frazionato, lo vendono.

Cosa accade all’ultimo lotto prima di quello investito dagli sventramenti su via s. Francesco a Ripa? È il 26 settembre 1889 e un tale Augusto Ciabatti chiede di costruire un baraccone sul terreno della Fondiaria. Subito dopo si rileva la costruzione abusiva di un teatro in legno per la quale viene poi accordato il permesso. La situazione dell’area dimostra il continuo conflitto tra la destinazione a residenza e l’inserimento di servizi.

È il 1923 quando Icilio Amigoni presenta un progetto per soprelevare due piani ad abitazione sul cinematografo in costruzione. Amigoni aveva acquistato il terreno da Dante Guerani, proprietario anche di una vasta area interna all’insula occupata da una grande segheria. Era autorizzato dal Comune a costruire su via Natale dl Grande una casa di abitazione. Amigoni invece intendeva costruire un cinema e così, richiamato dal comune agli accordi, per bloccare l’esproprio cerca il compromesso aggiungendo una soprelevazione ad abitazione ed arriva a completare l’opera in sanatoria nel 1927. È da qui che parte la vicenda di un cinema teatro La Marmora, poi demolito nel 1957 per far posto al cinema America.

Quello che succede dopo la firma della convenzione risente del clima finanziario in città. Banche e proprietari si garantivano l’aumento del prezzo dei terreni ed i nuovi imprenditori edili erano incoraggiati dal credito degli Istituti stessi. L’equilibrio basato sulle cambiali si rompe nell’87, quando arriva la restrizione del credito. Il Comune, che all’inizio voleva addossare gli oneri di urbanizzazione ai privati, ora riconosce lo stato di fatto essendo invendute molte case già finite.

La crisi travolge piccoli imprenditori e banche per la distanza tra aspettative di profitto e natura di questa edilizia nata come economica. Con la crisi, i lavori nel 1897 si fermano e arriva la sanatoria di impegni presi tra l’85 ed il ‘90 tra la Fondiaria in liquidazione, il Comune e la Banca d’Italia che è la creditrice principale anche in rappresentanza del Banco di Napoli. Il piano viene ridimensionato e si stabilisce che il Comune realizza le strade principali occupandosi della manutenzione delle altre, nel caso siano stati realizzati metà degli edifici.

Così è che nasce l’Istituto Romano di Beni Stabili per riconvertire l’enorme patrimonio della Banca d’Italia alle accresciute esigenze sociali. Gli spazi interni sono ridistribuiti, migliora la dotazione di servizi ed i cortili vengono liberati dagli ingombri.

Abbiamo 44 palazzi in tutto il quartiere. La Banca d’Italia ne riceve 23 con acquisizioni continue fino al 1897 e Il Banco di Napoli acquista 18 palazzi. Dalla Banca d’Italia passano all’Istituto Romano Beni Stabili che li conserva fino alla metà degli anni ‘20, poi fatti i frazionamenti vende gli appartamenti ai privati. Il Banco di Napoli, senza fare alcun intervento di risanamento, conserva le proprietà per un tempo minore. 8 palazzi vanno alla Società Veneta, uno alla Società Anonima di Gestione Immobiliare, poi ad altre società che frazionano e vendono ai singoli proprietari.

In sostanza, seguendo nel dettaglio le vicende dei Prati di San Cosimato, viste attraverso i protagonisti e le trasformazioni che subiscono i terreni, abbiamo il quadro di quello che avveniva a Roma in quegli anni. I regolamenti edilizi c’erano, ma era molto difficile contenere una iniziativa privata molto aggressiva. Il tempo poi storicizza tutto ed il risultato è il quartiere in cui abitiamo.

 

 

 

Di Claudio Prosperi Porta

Illustrato da Giulia Gardelli

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