ALICE’S CUT

Quando Nicolini inseguiva il Bianconiglio alla ricerca dell’effimero

 

Non è stata affatto semplice la scelta dell’argomento da raccontarvi in questo nuovo appuntamento di Alice’s Cut. Una decisione che in certi momenti ci ha ossessionato, regalandoci serate insonni: «Il prossimo numero del Ventriloco sarà dedicato alla notte. Di cosa potremmo parlare noi ― ci chiedevamo mentre il sottoscritto affrontava l’estenuante traffico del Raccordo ad ora di punta ―, di Antonioni? O forse del trentennale di Fuori Orario su Rai Tre?» Poi all’improvviso una vera e propria folgorazione sulla via Casilina (precisamente all’altezza di quella sciagurata uscita “a quadrifoglio” che si è costretti a percorrere per immettersi sulla consolare una volta abbandonato il GRA): «Il prossimo numero sarà dedicato a Renato Nicolini e alle notti di Massenzio!»

Portata la pellaccia a casa, il nome dell’architetto romano che alla fine degli anni ’70 era stato assessore alla cultura nella giunta Argan, continuava a trotterellare tra le sinapsi di chi vi scrive.
Leggendo il primo capitolo di Remoria La città invertita (edito da Minimum Fax), il nome di Nicolini tornava nuovamente a galla proprio mentre l’autore, Valerio Mattioli, parlava di «borgatasfera» e Grande Raccordo Anulare.
E tra le citazioni redatte da Mattioli nel libro, c’era anche una breve intervista fatta all’ideatore dell’Estate Romana da Gianfranco Rosi. Il titolo di questa incredibile chiacchierata ― ancora visibile su RaiPlay ― è Tanti futuri possibili.
Il colloquio, manco a dirlo, si tiene direttamente sul Raccordo, in macchina. E mentre il sole pian piano tramonta, le ombre dilatano la propria estensione sul paesaggio urbano e le parole di Nicolini cercano di trovare un senso a quella mastodontica, inspiegabile, infrastruttura che prese il nome dell’ingegnere che decise di concepirla, l’ingegner Eugenio Gra.

«Chissà cosa sarebbe successo ad Alice se, anziché perdersi nel Paese delle Meraviglie avesse inseguito il Bianconiglio sul Grande Raccordo Anulare», si chiede ad un certo punto Renato Nicolini.
Poi ancora, quando l’automobile percorre la striscia d’asfalto nei pressi dell’innesto con via Prenestina: «Un tempo si diceva che Tor Bella Monaca sarebbe diventata come la Garbatella» perché in fin dei conti «Roma è un’idea, è più forte di una città costruita».
Aforismi che descrivono la Città di ieri e di oggi con straordinaria lucidità. Mentre la notte cala sull’A90, Tanti Futuri Possibili si autodenuncia come uno degli ultimi attimi di lucida illusione, da parte di chi del concetto di effimero si era fatto alfiere, bandiera, istituzione.

Forse, oltre al Raccordo, soltanto le notti a Massenzio sono riuscite veramente a tenere unita una geografia così vasta come quella della capitale.
Quella di Roma fu (ed è ancora) un’eterogenesi quantomai discontinua, che in rarissimi momenti è riuscita davvero ad appianarsi mettendo tutti sulla stessa linea di partenza.
Allora fa ancora più impressione riscoprire certe sporadiche e troppo disordinate testimonianze riguardanti il cinema a Massenzio.
Perché a 43 anni di distanza da quelle mitiche proiezioni cinematografiche all’aperto (Anno Domini 1977…), adesso che il filtro della storia cola ogni superficie superflua, ciò che resta a posteriori è un’esperienza incredibilmente trasversale, in cui il cinema venne proposto per la prima volta come mezzo orizzontale.
Quella di portare i film nelle piazze non era certo un’intuizione inedita in città. Si pensi per esempio alla rappresentazione de La presa di Roma, «kolossal» sull’Unità d’Italia girato da Filoteo Alberini e proiettato proprio nei pressi di Porta Pia nel settembre del 1905.

Ciò che accadde durante le estati di Massenzio fu invece qualcosa di più profondo. Durante le «maratone» o in serate come quella degli «Undici schermi» (in cui dei proiettori lavoravano simultaneamente con svariati materiali audiovisivi), il mondo cinefilo dei cineclub usciva dalle sale buie frequentate durante l’inverno per incontrarsi con un pubblico variegato, proveniente da ogni quartiere e classe sociale. «Il borgataro con la scodella di pasta asciutta sedeva affianco ai ragazzi che fumavano spinelli» si ricorda in un episodio de La storia siamo noi.
Tutti insieme sotto lo stesso cielo, tormentati dalla calura estiva alle pendici del Foro Romano. Le maratone horror, i peplum, Alberto Sordi e Totò. Persino Napoleon di Abel Gance, con migliaia di persone che non si facevano spaventare dall’incombente temporale estivo.
Oggi a questo meltin’ pot, a questa bulimia siamo ormai avvezzi. Forse persino assuefatti.
Ed è per questo che dovremmo provare a riscoprire il valore più autentico dell’effimero. Ripensare alle esperienze di Renato Nicolini (a Massenzio come al Festival dei poeti di Castel Porziano) e con lui perderci ancora sul Raccordo all’imbrunire.
Gira voce che all’uscita “a quadrifoglio” per via Casilina ci sia di nuovo il Bianconiglio.
Stavolta però potrebbe essere tutta un’altra storia. Di fronte a noi si aprono tanti futuri possibili…

Guarda l’omaggio a Renato Nicolini: Tanti futuri possibili

di Gianluca Vignola

Illustrato da Matteo Wuarky

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